Genova G8, ultimo atto sullo scandalo della scuola Diaz

Cinquecento manifesti affissi in tutta la città mostrano la sagoma di un poliziotto del famigerato VII Nucleo Sperimentale – protagonista del sanguinario blitz alla scuola Diaz – , che delimita un mosaico di fotografie scattate quella maledetta notte del G8. Poche righe ricordano quanto accaduto sette anni fa e la prossima conclusione del procedimento di primo grado. «Genova, 21 luglio 2001. Vertice G8. L´irruzione alla scuola Diaz. 93 arresti illegali, 61 feriti, la costruzione di prove false… 29 poliziotti sotto processo. Dopo 7 anni la Procura chiede condanne per 110 anni di carcere. A novembre 2008 la sentenza». Il manifesto, che reca in rosso la sigla http://www.processig8./org, annuncia indirettamente anche l´appuntamento di domani pomeriggio (ore 17) nella Sala di Rappresentanza di Palazzo Tursi. Un incontro pubblico che porta lo stesso titolo del manifesto – "Diaz. Processo alla polizia" – e al quale parteciperanno il sociologo Salvatore Palidda, l´avvocato Laura Tartarini, un reporter inglese – Mark Covell – che è una delle 93 vittime dello sciagurato blitz, e il giornalista Massimo Calandri. Nel corso del dibattito sarà proiettata l´intervista inedita ad uno dei poliziotti che partecipò a quella che uno dei funzionari imputati – il vicequestore Michelangelo Fournier, braccio destro di Vincenzo Canterini – ha definito «macelleria messicana».La sentenza per il più delicato e scomodo tra i processi del G8 è attesa a partire dal prossimo 12 novembre, giorno in cui il tribunale presieduto da Gabrio Barone si ritirerà in camera di consiglio. Sono imputati 29 tra agenti e super-poliziotti, accusati a diverso titolo di aver picchiato persone inermi ed innocenti, di aver falsificato le prove per «giustificare» il massacro, di aver mentito dall´inizio alla fine: a cominciare dal fantomatico agguato ai danni di alcune pattuglie, per continuare con la presunta resistenza da parte degli ospiti della scuola, proseguendo con il poco credibile accoltellamento di un «celerino», fino al crescendo delle bottiglie molotov introdotte ad irruzione terminata. Alla sbarra ci sono Francesco Gratteri e Giovanni Luperi, rispettivamente a capo della Direzione anticrimine centrale e dell´ex Sisde, c´è Gilberto Calderozzi, protagonista dell´arresto di Bernardo Provenzano, ci sono gli allora capi della "Celere" romana e della Digos genovese. Tutti funzionari ai vertici del ministero dell´Interno che in questi anni, e nonostante le accuse rivolte dalla procura, hanno continuato a fare carriera. Il procedimento, in cui l´accusa è sostenuta dai pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, ha generato un secondo, imbarazzante fascicolo: è quello relativo alla falsa testimonianza del vecchio questore del capoluogo ligure, Francesco Colucci, che sarebbe stato «istigato» da Gianni De Gennaro, a lungo capo della polizia. Una storia vergognosa e purtroppo infinita.
fonte: La Repubblica Genova

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UN DECRETO LEGGE PER NULLA

ANDU – Associazione Nazionale Docenti Universitari
1. UN DECRETO-LEGGE PER NULLA
2. E SUL RESTO IL PD "ASSOLUTAMENTE CONDIVIDE CON SODDISFAZIONE"
3. LA ‘QUARTA CRUI’
1. UN DECRETO-LEGGE PER NULLA
Il ministro Gelmini ha ieri sostenuto che il ricorso alla decretazione
d’urgenza e’ stato necessario per modificare le procedure dei concorsi
universitari gia’ banditi. Per il testo del decreto-legge e per sentire la
Conferenza stampa del Ministro v. nota 1.
Un intervento su concorsi gia’ banditi, con le domande dei candidati gia’
inviate e alla vigilia del completamento della formazione delle
commissioni, e’ stato quanto mai inopportuno e forse anche illegittimo.
Opportuno, anzi necessario e urgente, sarebbe invece intervenire, con un
disegno di legge, sui meccanismi concorsuali per i posti ancora da bandire.
Su questo tema richiamiamo, ancora una volta, le proposte dell’ANDU (nota 2).
Peraltro la soluzione inventata all’ultimo minuto in Consiglio dei
Ministri, toglie ogni fondamento allo ‘stato di emergenza’ invocato dal
Ministro per giustificare lo strumento del decreto-legge. Infatti quanto
approvato non cambia NULLA rispetto alla sostanza delle norme attuali: fino
ad oggi la commissione veniva composta dal membro interno (colui al quale
era stato ‘assegnato’ il posto per poterlo ‘girare’ al suo allievo) e lo
stesso membro interno invitava quattro colleghi, per i posti a professore,
e due, per i posti a ricercatore, a candidarsi per farsi eleggere nella
commissione. Da domani, ‘invece’, il membro interno chiedera’ a dodici
colleghi, per i posti a professore, e a sei colleghi, per i posti a
ricercatore, di candidarsi per farsi eleggere nella rosa da cui sorteggiare
i quattro (e due) membri della commissione.
Pare che a questo ‘cambiare tutto per non cambiare nulla’ abbia dato il
suo contributo anche il ministro Brunetta (nota 3). Come dire, i baroni per
i baroni.
E’ giusto il commento di Giuliano Cazzola del Pdl: "Si complicano le
procedure senza mutarne la sostanza".
Un decreto-legge era ed e’ urgente: quello per accogliere la richiesta del
grande movimento di protesta di ABROGARE gli articoli della Legge 133/2008
che prevedono:
– il blocco del turn over
– il taglio dei finanziamenti
– la trasformazione degli Atenei in Fondazioni private
– il trasferimento di "ingenti risorse" pubbliche alla Fondazione IIT di
Genova
2. E SUL RESTO IL PD "ASSOLUTAMENTE CONDIVIDE CON SODDISFAZIONE"
Si legge sulla Stampa di oggi (nota 3) che il ministro Gelmini "ha
incontrato il ministro ombra Pd dell’istruzione, Mariapia Garavaglia, che
le ha dato l’ok sulle linee guida per il ddl sull’Universita’. L’incontro
e’ avvenuto ieri mattina al ministero di viale Trastevere." "Queste linee
guida – ha detto la Garavaglia – sono assolutamente condivisibili. Ne
prendo atto con soddisfazione."
3. LA ‘QUARTA CRUI’
"L’adunata dei rettori del Sud", cosi’ e’ titolato un articolo su
Repubblica di oggi (nota 4) nel quale si legge che "ieri a Palermo si e’
costituito un vero asse dei rettori delle regioni meridionali".
Dopo la ‘seconda CRUI’, quella degli Atenei auto-eccellenti (l’AQUIS) e
dopo la ‘terza CRUI’, quella della "la rete delle Scuole Superiori a
Statuto speciale", sta nascendo la ‘quarta CRUI’, quella degli Atenei
meridionali.
Non sarebbe l’ora che i Rettori facessero ‘semplicemente’ i rettori,
curando l’interesse dei loro Atenei, invece di pretendere di rappresentare
l’Universita’ italiana o pezzi di essa?
7 novembre 2008

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Obama, vittoria in famiglia

Sarà il caso di non fare i balli di gioia per Obama, se non perchè ha sconfitto McCain; ma è una vittoria in famiglia, poi si vedrà. Intanto, da un punto di vista di genere, o femminista, che mi piace di più, Obama è un patriarca gentile e tutta l’operazione conferma che il patriarcato nella sua versione gentile è egemone a livello mondiale: gentile dunque, che significa non meno escludente, anche se non manesco, nelle forme simboliche e negli obiettivi.
Gli indizi di quanto affermo sono vistosi: Hillary è stata cancellata; siccome il nome Clinton è politicamente importante, è stato piuttosto rispolverato il marito puttaniere (se una delle candidate avesse avuto la minima avventura, avrei voluto vedere!). Ma i Clinton -e i Kennedy non meno- hanno una tradizione famigliare che include la doppia morale sessuale tra uomini e donne.
Michelle Obama ha dovuto recitare il copione della brava moglie a fianco, che scompare modestamente dopo una affettuosa esibizione con prole: e viene definita dal marito "la mia roccia", cioè qualcosa che gli serve per appoggiarsi, dietro cui difendersi ecc.ecc., insomma qualcosa in funzione di lui, come se non avesse una personalità propria. (Ed è noto che di ciò è molto irritata).
Lasciamo stare il corteo di nonne morenti o ancora vive e fatte salire sul palco con la faccia di chi non sa tanto bene dove sta! Una esibizione di buoni sentimenti ecc.
Poi naturalmente Obama è per la pena di morte e per ritirarsi dall’Iraq e concentrare le forze per vincere in Afghanistan.
Le cose che mi sono piaciute di più nella cerimonia dell’incoronazione sono state le prime che ha detto ripetendo una frase più volte usata in campagna elettorale:"Non è possibile che la borsa valga più delle persone e delle loro difficoltà e miserie" (e ci si domanda perchè Wall Street reagisce male!) e che si occuperà subito di chi è povero e non ha nemmeno l’assistenza medica (di "servizio" medico non è il caso di parlare: negli USA non c’è ed è stato lo scoglio su cui Hillary che ha cercato sempre di introdurlo alla fine si incaglia). Ho guardato in faccia Obama e mi sembrava quasi spaventato, il che significa che è persona ragionevole, tuttavia l’affermazioene che gli USA possono fare tutto e che niente per loro è impossibile, non vi suona un tantino imperialistica e del resto e per fortuna in contraddizione con l’idea (saggia e approvabile) di una democrazia multipolare e del rilancio delle N.U.?
Si deve alla straordinaria e camaleontica abitudine della destra italiana (non avevano avvisato il capogruppo di An in Senato, poveretto) di spingere per arrivare al carro di chi vince se inni di gloria e di gioia vengono ostentati quasi come ovvii, ma è vero che Obama impersona il sistema bipartito perfettamente e sa perciò che non può certo fare qualcosa di alternativo ai repubblicani, non parliamo di antagonista, e se anche alcuni sostenitori di McCain intervistati hanno detto dl Obama che è un marxista un socialista un estremista, si è visto McCain vistosamente zittirli: tutto nella bella immagine dell’unità famigliare dove si litiga ci si tirano coltellate ci si tradisce si picchiano le mogli e le figlie, ma l’apparenza deve rimanere idilliaca.
In questo patriarcato gentile e doppio (vizi privati e pubbliche virtù) il posto delle donne è marginale e subalterno, oppure si applica la cancellazione e la non citazione, vedremo se Obama riserva un posto di grande rilievo ad Hillary, speriamo. A meno che la famiglia Clinton non debba considerarsi soddisfatta dal fatto che il capogabinetto presidenziale è lo stesso che fu di Clinton (marito ovviaomente).

Lidia Menapace

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Quanto costa l’universita’ italiana?

    Puo’ ben essere che il sistema universitario italiano sia eccessivamente finanziato. Ma i dati dell’OECD, che il prof. Luca Tedesco cita per sostenere questa tesi (Il Riformista 30 ottobre, v. nota), certamente non contribuiscono a raggiungere questa conclusione.
    Come cerchero’ di dimostrare non appare avere alcun fondamento l’affermazione di Tedesco secondo la quale la spesa annua per studente in Italia e’ la piu’ alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia. Partiamo, come fa Tedesco, dalla tavola B1.1a del documento Education at a Glance 2008, che indica in 8.026 dollari la spesa annua per studente italiano, ben al di sotto di quella media dei paesi OECD, che e’ di 11.521 dollari. Ma attenzione! Come indicato nella nota tecnica del documento, ci sono tre paesi Austria, Germania e Italia che non distinguono tra studenti a tempo pieno e studenti a tempo parziale. Per questi paesi la spesa annua risulta sottostimata. Per ovviare a questo inconveniente l’OECD ha predisposto un altro calcolo, i cui risultati sono indicati nella tavola B1.3b e nel grafico B1.5. Si calcola cioe’ la spesa cumulativa per la durata (effettiva, non nominale) degli studi. Come spiega la nota tecnica,  in questo calcolo la mancata indicazione degli studenti a tempo parziale risulta ininfluente perche’ "l’effetto si compensa dal momento che contare gli studenti a tempo parziale come studenti a tempo pieno conduce ad una sottostima delle spese annuali e ad una sovrastima della durata degli studi".
     L’Italia con una spesa cumulativa di 41.285 dollari per studente si colloca ancora sotto la media OECD che e’ di 47.159 dollari, anche se diminuisce, in percentuale, lo scarto dalla media. I  paesi la cui spesa cumulativa supera quella dell’Italia sono 12, hanno invece una spesa inferiore, 9 paesi. E’ da notare che non tutti i paesi hanno comunicato i dati sull’effettiva durata degli studi, e quindi sui ritardi negli studi.
Mancano nella tavola B1.3b , i dati degli SU, del Canada, e di altri 8 paesi. Questo significa, credibilmente, che i dati sugli studenti a tempo parziale, non coincidono con i dati sugli studenti ritardatari. Fin qui quello che si puo’ desumere dal documento dello OECD.
    Vediamo ora invece come puo’ il prof. Tedesco raggiungere conclusioni cosi’ contrastanti. Prima di tutto egli parte dall’ipotesi che i dati di tutti i paesi, ad esclusione dell’Italia, si riferiscano alla spesa per studente equivalente a tempo pieno, ottenuta calcolando il numero degli studenti pesati per i corsi effettivamente seguiti e gli esami effettivamente sostenuti. Se l’ipotesi fosse vera sarebbe lecito moltiplicare all’incirca per due le spese per studente universitario italiano, lasciando invariate le altre cifre, come fa il prof. Tedesco, ed infatti dopo la moltiplicazione per due, la spesa per studente universitario italiano della tavola B1.1a risulta inferiore solo a quella di SU, Svezia e Svizzera. Ma l’ipotesi cui aderisce il professore  e’
palesemente falsa almeno per l’Austria e la Germania, che si trovano nella stessa condizione dell’Italia. Ne’ questa ipotesi viene in alcun modo avvalorata per gli altri paesi dal documento dell’OCSE. Infatti essa appare estremamente improbabile almeno per i paesi che non hanno fornito informazioni sui tempi effettivi di conseguimento delle lauree, al punto da essere esclusi dalla tavola B1.3b. Infine, se fosse vera, i risultati forniti dalla Tavola B1.3b, che tengono conto dei ritardi, dovrebbero coincidere con quelli della Tavola B.1.1a. E’ lecito a questo punto pensare che i paesi diversi da Austria, Germania e Italia abbiano classificato come studenti a tempo parziale solo gli studenti che si erano dichiarati tali al momento dell’iscrizione e non tutti i ritardatari. Insomma i dati forniti dalla tavola B1.3b appaiono piu’ credibili di quelli basati sulla ipotesi Tedesco.
Questo significa che dobbiamo credere ciecamente ai dati forniti dall’OECD nella Tavola B1.3b? Credo proprio di no. I tecnici dell’OECD compiono sforzi eroici per paragonare tra loro sistemi profondamente diversi e raccolte di dati disomogenee, ma non riescono a tener conto di tutto. Ad esempio il dato, cosi’ alto, della spesa per studente universitario degli SU, puo’ essere in parte spiegato dal fatto che le universita’ considerano come spese il rimborso delle tasse universitarie, erogato ad una percentuale anche alta degli studenti. Questo gonfia sia le entrate che le spese con cifre equivalenti a partite di giro. Per fare un altro caso, in Italia si considerano come spese per l’istruzione universitaria gli stipendi degli infermieri e degli ausiliari dei policlinici a gestione diretta. Infine in Italia, ma forse non in tutti gli altri paesi, gran parte delle spese per le ricerche dei docenti universitari non passano per i bilanci universitari e quindi non figurano come spese per l’istruzione universitaria.
    Cosi’ ad esempio la costosissima partecipazione dei docenti di fisica italiani al grande esperimento in corso al CERN di Ginevra, grava sui bilanci dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e sul finanziamento degli accordi internazionali di cooperazione scientifica. Insomma e’
proprio vero che le cifre dell’OECD vanno interpretate con molta cautela.
Ma il prof. Tedesco, che e’ un valentissimo storico, dovrebbe esaminare i dati utilizzati nelle polemiche sull’universita’ condotte da professori con la stessa cura e la stessa diffidenza con la quale esamina, ai fini di una corretta ricostruzione storica, gli scritti e i discorsi di politici in polemica tra loro.

Alessandro Figa’ Talamanca

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Università – Fermiamo la mano.

    Chi lavora da tempo nell’universita’ italiana, specie se ha avuto esperienze anche in atenei di altri paesi, sa benissimo quali siano le disfunzioni serie di questo sistema, ma sa anche quali sono i punti di forza, che ci sono: la sua critica e’ soprattutto orientata a migliorare il sistema. Ma oggi chi lavora all’universita’ si sente oggetto di un attacco coordinato, condotto con la tecnica del branco, come fanno i coyotes o i practors di Jurassic Park o, meno esoticamente, con le tecniche con le quali il potere mafioso ha trattato sempre i suoi nemici oppure ancora con le tecniche delle purghe staliniane. Diffamare, isolare, eliminare.

    Alla diffamazione si sono dedicati diversi soggetti, con una frenesia degna di cause più nobili: diffondere falsita’ sull’universita’ italiana, con cifre fuorvianti snocciolate come un rosario e’ diventata una tecnica comune a politici e a docenti che hanno dimenticato che, messa al servizio dell’ideologia, la scienza cessa di essere tale. All’isolamento hanno contribuito i media, sia gli house organs della Famiglia sia i giornali cosiddetti "indipendenti". Ora si passa alle prime fasi della eliminazione.
Aldo Schiavone ha scritto su Repubblica del 30 Ottobre che assisteremo al funerale dell’Universita’. Non c’e’ funerale senza cadavere e non c’e’
morto ammazzato senza mano assassina. Noi vogliamo impedire il delitto prima che venga consumato.

    Sui concorsi universitari e’ aperta la discussione, molti di noi hanno fatto anche proposte radicali (ma efficienti) sull’argomento. Oggi pero’
occorre innanzitutto fermare la mano di chi sta proponendo una azione delinquenziale, prima ancora che irresponsabile e inefficiente. Dopo molti anni di attesa, sono finalmente in corso qualche migliaio di concorsi per professori associati; questo non significa nuovi posti e aumento del corpo docente, ma il giusto riconoscimento del lavoro svolto, a volte per venti anni e piu’, da migliaia di ricercatori, talvolta invecchiati in quel ruolo non perché senza merito, ma perché senza posto, con stipendi bassi e sovente con curricoli didattico scientifici, anche internazionali, di tutto rispetto. E lo stesso discorso vale a maggior ragione per i posti di ricercatore cui aspirano migliaia di precari che hanno stipendi minimi e senza i quali l’universita’ non potrebbe funzionare.  

    Oggi una vena di follia si e’ introdotta nel dibattito, si vogliono bloccare questi concorsi, sull’imbeccata fornita ai politici dal prof.
Giavazzi sul Corriere della sera sulla base di tre affermazioni false (false anche quando contengono nuclei di verita’, perche’ nella scienza come nel dibattito pubblico non si può dire nero se e’ appena appena grigio). Primo che i concorsi siano tutti truccati, quindi e’ inutile farli, ovviamente la conseguenza sarebbe "in galera tutti i commissari" e, vien da chiedere: ma il prof. Giavazzi e gli altri eccellenti colleghi che guidano questa campagna con il piglio di Rummy Rumsfeld, il concorso come l’hanno vinto? Secondo, che i concorsi siano troppi: falso, non rappresentano neppure un normale turnover. Giavazzi dice 10% ma falsifica gravemente perche’ un economista dovrebbe sapere che il turnover non e’ una misura assoluta, ma si calcola su un periodo dato, di solito annualmente.
Qui il numero di concorsi (regolarmente banditi secondo la legge, sia detto per inciso) va valutato in base agli anni dall’ultima tornata di concorso, almeno tre, quindi sarebbe il 3% non il 10.  Terzo, dice infine Giavazzi per sostenere ideologicamente l’urgenza del provvedimento ("fate in fretta, fate in fretta"), che se questi concorsi passeranno si blocchera’ tutto il sistema per anni. Falso: oltre all’esiguita’ dei numeri, nei prossimi anni si libereranno migliaia di posti di ordinari e associati per l’invecchiamento del corpo docente. L’universita’ avra’ ancora meno docenti di quelli, gia’ ora insufficienti, che ha. E poi non dovrebbe sfuggire all’economista Giavazzi, a proposito di blocchi, che se non vengono promossi, i ricercatori attuali bloccheranno essi davvero il sistema, impedendo che si liberino i posti per i piu’ giovani. E in più saranno cosi’ legittimamente infuriati che, anche se non bruceranno qualcosa, e’
dubbio che riprenderanno a lavorare molto rapidamente. Pero’ la parola, anche se asinina, passa rapidamente perche’ anche nel mercato delle idee esiste la legge di Gresham che dice che la moneta cattiva scaccia quella buona. Per dare una idea delle assurdita’ che la stampa diffonde, leggiamo il modo in cui anticipa La Stampa (30 Ottobre p. 5) il provvedimento "Blocco automatico dei concorsi, si rischia di fermare il turn-over (attenzione, facendoli, non bloccando il turnover in corso, ndr!!) si tratta di "7 mila posti, di cui 4mila per ordinari e associati e 3 mila in due tranches  per ricercatori he verrebbero assunti a vita" (capite?? "a vita", cioè non precari come ormai devono essere tutti, e come alcuni dei candidati sono da anni e anni). Ma, ancora: "Se il concorso passasse verrebbe ingolfato per anni il sistema di reclutamento e i giovani di talento potrebbero dire addio alle loro aspirazioni" (perche’ quelle migliaia che adesso da precari sperano di diventare ricercatori le aspirazioni non le hanno? La logica, la logica!!.ndr). Ma ora viene il bello! "Tuttavia [sospendere] questo concorso significa inimicarsi tutta la baronia che aveva gia’ deciso chi e come sistemare. Al provvedimento dovrebbe seguire poi una nuova normativa sui concorsi". (Dopo aver violato la legge vigente se ne fa un’altra. ndr). Capite? Il problema non sono i poveracci che hanno lavorato per anni e che ora si vedono sottrarre la possibilita’ di partecipare a concorsi, che non si fanno da quattro anni.
No! Il problema sono i "baroni" frustrati nelle loro trame. Ha ragione Diamanti (La Repubblica.it 1 Novembre) basta con questa sciocchezza dei baroni. Quel che vere baronie e governanti stanno tentando di fare e’ solo, banalmente, mettere da parte qualche risorsa. Per chi? E il rispetto per chi lavora dove sta in tutto questo mondo, e mezzomondo, di politici e loro consigliori? Ma quando si fa branco l’ideologia obnubila: "el sueño de la razon produce monstruos". E una vera mostruosita’ e’ appunto la proposta di bloccare i concorsi. Firmate con noi per fermare la mano.

Guido Martinotti    
Roberto Moscati    
Franco Rositi

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ci hanno chiamati e abbiamo sbaragliato i fascisti

Corriere della Sera
L’ altra versione Tre del servizio d’ ordine di Rifondazione: avevano già fatto tre aggressioni. Le forze dell’ ordine non si sono messe in mezzo
I militanti prc: ci hanno chiamati e abbiamo sbaragliato i fascisti
In piazza Navona «Abbiamo chiesto che fossero allontanati, poi gli abbiamo gridato di andarsene. A quel punto li abbiamo sbaragliati»

ROMA – «Parliamoci chiaro: prima che arrivassimo noi c’ erano già state tre aggressioni contro persone finite all’ ospedale o comunque rimaste ferite. Ammesso e non concesso che ce l’ avesse avuta prima, quella gente non aveva più alcuna legittimità a stare in piazza. Abbiamo chiesto che fossero allontanati, e niente. Gli abbiamo gridato di andarsene, e niente. A quel punto li abbiamo caricati e sbaragliati. Basta, finito. Inutile stare a nascondersi o girarci intorno». Partito della Rifondazione comunista, sede della Direzione nazionale, terzo piano. Simone ha 32 anni e un linguaggio diretto. Accanto a lui ci sono Emiliano, 30 anni e quasi due metri d’ altezza, e Yassir, 33 anni e una denuncia per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale: l’ hanno fermato e liberato dopo una notte passata in gattabuia. Sono impiegati del settore organizzazione del partito (quello che un tempo si sarebbe chiamato Servizio d’ ordine), e mercoledi scorso erano in piazza Navona. Raccontano la loro versione dei fatti con una premessa, affidata a Emiliano: «Per noi l’ antifascismo è un valore irrinunciabile. E’ il fondamento della nostra Costituzione, ed essere antifascisti oggi significa difendere la democrazia, la pace e la libertà di espressione». Anche con l’ uso della violenza? Risponde Simone: «A nessuno di noi piace andare in giro a caricare i fascisti, ma capitano situazioni particolari. Come l’ altro giorno. Con la polizia che non ha fatto niente per impedire lo scontro fisico». Lo interrompe Yassir: «Sono diciotto anni che partecipo alle manifestazioni, e ti assicuro che non avevo mai visto prima un fascista così da vicino. Perché sempre si sono messi in mezzo per evitare il contatto diretto, o ci chiudevano piazze o strade presidiate da loro. Stavolta invece è come se avessero detto "prego, accomodatevi". Io non penso a complotti, però qualche cattivo pensiero può venire. Anche perché questa storia è cominciata molto prima di mercoledì». Il riferimento è ai giorni precedenti, lunedì e martedì, quando «i fascisti» del Blocco studentesco hanno conquistato la testa del corteo degli studenti medi o issato il loro striscione al sit-in davanti al Senato. «Sempre con quel camioncino bianco pieno di mazze nascoste – insiste Simone – senza che nessuno lo fermasse. Noi in quelle due occasioni abbiamo abbozzato, per evitare problemi, ma in piazza Navona, mercoledì, s’ è passato il segno». Racconta Yassir: «Io stavo andando al lavoro quando mi ha telefonato un ragazzo del liceo Tasso per avvisarmi che i fascisti stavano picchiando la gente. Temevo che esagerasse, ho chiamato altre persone, e tutti confermavano le aggressioni. Parlavano di sangue. Ho radunato altri compagni e siamo andati». Insieme a quelli dell’ università: «E mica sono il Settimo Cavalleggeri! – sorride Simone -. Era già previsto che venissero anche loro, hanno solo accelerato un po’ il corteo ». Con il loro camioncino: «Certo – risponde Emiliano – quello c’ è sempre, per gli altoparlanti e i megafoni. Mazze non ce n’ erano, stai sicuro. Quando siamo arrivati abbiamo trovato la piazza terrorizzata dalle violenze precedenti e i fascisti schierati in formazione, coi bastoni pronti. A quel punto che fai?». Già, che fai? Yassir: «Abbiamo formato un cordone e fino all’ ultimo abbiamo tentato di tenerlo, ma la piazza dietro spingeva e quelli davanti aspettavano co’ ‘ sti bastoni come fossero giocatori di baseball». E voi coi caschi in testa: «Certo, per protezione. A mani nude, però. A un certo punto non abbiamo tenuto più e c’ è stato lo scontro. Coi poliziotti a godersi lo spettacolo». Sono volate le sedie dei bar. «Di vimini… Ne vola una, ti arriva addosso, la rilanci no? A me un fascista m’ ha tirato una scopa – continua Yassir -, l’ ho parata, ho visto arrivare i carabinieri dall’ altra parte e ho avuto paura di restare in mezzo. Mi sono lanciato tra i tavolini dei bar. Mentre correvo mi sono sentito prendere alla gola e stringere, mi stavano soffocando. Poi mi hanno buttato a terra, e mentre temevo che arrivasse una coltellata ho sentito dire "soggetto immobilizzato". Erano poliziotti, per fortuna». Quindi sono intervenuti. «Per disperderci – puntualizza Simone -, dopo che avevamo neutralizzato i fascisti e ridotto quel camioncino come doveva essere ridotto. Questi sono doppiamente pericolosi: militarmente, perché picchiano la gente, e politicamente perché rischiano di avere un effetto catalizzatore su giovani cosiddetti "neutri", soprattutto in certe scuole e periferie, dove ci sono logiche più da comitiva che da gruppo politico, un po’ da stadio». Emiliano: «Coi loro metodi: o ti adegui e fai quello che dicono loro oppure menano. A Roma da due anni le aggressioni si sono moltiplicate. Dicono di essere contro questo governo, ma non mi pare se poi spunta un sottosegretario che si appiattisce sulla loro versione. Comunque al corteo dello sciopero non si sono visti». Ancora Simone: «Noi da quando siamo rimasti senza parlamentari abbiamo molte più difficoltà a gestire la piazza, mentre loro si sentono protetti. Mercoledì qualcuno di noi s’ è dovuto prendere un permesso dal lavoro per venire a cacciare i fascisti, ma ti pare normale?». Giovanni Bianconi

Bianconi Giovanni

Pagina 12
(1 novembre 2008) – Corriere della Sera

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Resolution 819

3° Festival Film di Roma

I musulmani di Srebrenica erano protetti dal ’93 da una risoluzione dell’Onu -la 819- che ne doveva garantire l’incolumità a seguito del conflitto balcanico. Questa risoluzione venne disattesa nel luglio ’95, quando i caschi blu non difesero la popolazione da Mladic. Il film di Battiato non ha ancora una casa di distribuzione e potrebbe non circolare nelle sale.
Regia: Giacomo Battiato
Direttore della fotografia: Igor Luther
Montaggio: Diane Logan
Interpreti principali: Benoît Magimel, Hristo Shopov, Hippolyte Girardot, Karolina Gruszka, Todd Kramer, Ryan James, Emina Muftic, Dimitrije Ilic
Produzione: Breakout Films, Aperto Films, TVN
Origine: Fra, Pol, Ita, 2008
Durata: 95′
Questa fiction che ricostruisce un nuovo Olocausto, perpetrato nel cuore di una Europa distratta e complice, non ha ancora una casa di distribuzione, potrebbe dunque non circolare nelle sale secondo il libero sistema con cui c’è chi decide per noi cosa vedere, sul grande come sul piccolo schermo. La strage di ottomila uomini mussulmani dell’enclave di Srebrenica in Bosnia avvenne in quattro giorni del luglio 1995 sotto gli occhi delle truppe delle Nazioni Unite. Queste non mossero un dito nei confronti della banda paramilitare con cui Mladic per mesi soffocò la cittadina fino a cannoneggiarla. I soldati dell’Onu non rispondevano perché gli ordini delle potenze mondiali – Stati Uniti clintoniani in testa – costringevano a non disturbare il tavolo in preparazione a Dyton che avrebbe sancito la fine delle ostilità in terra bosniaca. A quel tavolo venne garantita l’impunità ai macellai di Srebrenica, il mercenario Mladic e il suo compare Karadzic, criminali di guerra ricercati durante tutto il conflitto jugoslavo che negli anni seguenti sono stati protetti proprio dai grandi d’Occidente.
La comunità mussulmana di Srebrenica era protetta sin dal 16 aprile 1993 da una risoluzione dell’Onu – la 819 – che ne doveva garantire l’incolumità proprio a seguito del conflitto scoppiato nei Balcani. Questa risoluzione venne totalmente disattesa visto che i caschi blu non difesero la popolazione e Mladic potè compiere azioni di pulizia etnica deportando separatamente donne e uomini e massacrando quest’ultimi, dai bambini di sette ai vecchi di oltre settanta anni. Seguì uno spargere di corpi in fosse comuni. L’eco del massacro ventilato dai media e dagli osservatori in terra balcanica giunse al Tribunale Internazionale dell’Aja che incaricò un tenace poliziotto francese Jean-René Ruez (nel film diventa Jacques Calvez) di ricostruirne i passaggi tragici. L’uomo, ispirato da umanità e alto senso di giustizia, si mise a lavorare con accanimento nei luoghi della strage contornato da un gruppo di volontari, medici e altro personale esperto in operazioni estreme quali la riesumazione dei corpi.
Avevano di fronte la disperazione di migliaia di madri, mogli, sorelle da mesi prive di notizie dei familiari, donne angosciate, bisognose di conforto e consolazione visto che le speranze di ritrovare vivi i prigionieri erano praticamente nulle. Lo staff aveva di fronte anche la presenza dei mercenari cetnici autori del massacro che li spiavano dai boschi, li intimidivano, cercando d’ostacolare l’operazione di giustizia. Il metodo e la costanza di Ruez-Calvez furono premiate dal reperimento di iniziali prove: proiettili e materiale organico trovato nei luoghi delle esecuzioni. Con esse convinse il Tribunale a dare mandato e finanziamenti per eseguire massicce opere di scavo alla ricerca dei corpi delle vittime che avrebbero rappresentato il principale atto d’accusa per l’assassinio di massa. Durante gli scavi, che durarono tre anni, il poliziotto scoprì come i resti umani, già sparpagliati in varie fosse comuni, fossero stati riesumati e spostati proprio per cercare di occultare il più possibile il massacro. Karadzic, che durante quel periodo fu anche intravisto ma non fermato nei posti di blocco dei caschi blu, ha avuto la possibilità di vivere fra Vienna, Belgrado (come Mladic del resto) e altre località balcaniche, fino all’arresto del luglio scorso.
Il film compie una cosciente ricostruzione dei fatti cedendo in qualche punto al mélo. Come nell’empatia-simpatia fra Calvez e la graziosa assistente polacca che gli racconta altri momenti d’orrore delle memorie di famiglia vissute fra nazisti e russi, e nella teatralità della disperazione di massa delle donne di Srebrenica che agitano le foto dei propri cari o compiono il pietoso rito del riconoscimento dei resti. Ma in fondo c’è da chiedersi cosa rimanga del massacro: i loro chador chini sulle bare e le loro amare lacrime.

Enrico Campofreda, 30 ottobre 2008, 12:52 Resolution 819 (http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=9662)

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Scuola Pubblica: un bene comune in grave pericolo

Forum Insegnanti
L’Appello Per l’unità delle lotte contro tutte le leggi vergogna su scuola e università.

L’appello per la difesa della Scuola pubblica ha raccolto ad oggi oltre 12 mila adesioni.

Firma e fai firmare contro il DL 137/08, la legge 133/08 e il PDL Aprea
L’Appello per la difesa della Scuola Pubblica ha raccolto ad oggi oltre 12.000 adesioni. Firma e fai firmare contro il DL 137/08, la legge 133/08 e il PDL Aprea
http://www.foruminsegnanti.it/appello2008
Il disegno che oggi colpisce pesantemente Scuola ed Università fa parte di una più vasta strategia d’attacco ai beni comuni che questo regime sta portando alle estreme conseguenze, ma che altro non è se non il continuum delle politiche sull’istruzione che si sono susseguite negli ultimi quindici anni con governi di diverso colore.

Le controriforme scolastiche ed universitarie, da Berlinguer ad oggi, sono tasselli di un più ampio e generale processo di smantellamento dello stato sociale. Le leggi sull’autonomia didattica e finanziaria di Scuola e Università avevano ed hanno il preciso scopo di spianare il terreno alla devolution e alla privatizzazione dell’istruzione; se così non fosse lo Stato avrebbe dovuto aumentare piuttosto che diminuire la spesa scolastica com’è costantemente avvenuto nello stesso periodo, in cui però i finanziamenti agli istituti privati hanno seguito un trend inversamente proporzionale.
Il P.d.L Aprea attualmente in discussione in Parlamento è la summa di questo devastante progetto politico sviluppatosi nel tempo con complicità trasversali ed irrespondabili negligenze.
Le Scuole Statali assumeranno la forma giuridica di fondazioni di diritto privato, inoltre i concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli saranno aboliti e sostituiti dall’assunzione diretta del personale da parte delle scuole. Una vera e propria infeudalizzazione aziendalistica associata ad una sorta di clientelismo legalizzato.
Contro tutte le leggi vergogna sulla scuola è stato lanciato l’appello "Scuola Pubblica: un bene comune in grave pericolo" che ad oggi ha raccolto oltre 12.000 adesioni, significative non solo per la quantità ma soprattutto per la provenienza. E’ stato sottoscritto, infatti, da tantissimi docenti di ogni ordine e grado in molte scuole, da accademici, ricercatori, studenti, genitori e più in generale da quei cittadini che al di là della loro professione sono consapevoli del ruolo svolto nella società dalla Scuola dello Stato.
Toccherà al mondo della scuola militante e al grande movimento studentesco sorto e sviluppatosi in misura esponenziale in questi giorni, del quale cogliamo l’enorme portata e le notevoli potenzialità, il compito storico di organizzare una opposizione sociale, aggregando attorno alle Scuole e alle Università i lavoratori, i genitori e quanti intendono resistere e difendere il bene comune dei luoghi dove si forma la conoscenza libera.

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Noi la crisi non la paghiamo

La realtà accademica chiede che venga ritirata la riforma Gelmini.

Ecco il testo redatto dalle facoltà occupate de La Sapienza di Roma, che propone una giornata di mobilitazione per il 7/11 e un corteo nazionale nella capitale il 14 (in parallelo allo sciopero dell’università promosso dai confederali), mentre rilancia quello generale del 30 ottobre

Alle facoltà in mobilitazione,
alle studentesse e agli studenti,
ai dottorandi, ai precari della ricerca
"Noi la crisi non la paghiamo", è questo lo slogan con cui poche settimane fa abbiamo iniziato le mobilitazioni all’interno dell’università la Sapienza. Uno slogan semplice, ma nello stesso tempo diretto: la crisi globale del nostro tempo è stata prodotta dalla speculazione finanziaria e immobiliare, da un sistema senza regole né diritti, da manager e società senza scrupoli; questa crisi non può ricadere sulle spalle della formazione, dalla scuola all’università, della sanità, dei contribuenti in genere.

Lo slogan è diventato famoso, correndo veloce di bocca in bocca, di città in città. Dagli studenti ai precari, dal mondo del lavoro a quello della ricerca, nessuno vuole pagare la crisi, nessuno vuole socializzare le perdite, laddove la ricchezza è stata per anni distribuita tra pochi, pochissimi.
Ed è proprio il contagio che si è determinato in queste settimane, la moltiplicazione delle mobilitazioni nelle scuole, nelle università, nelle città, che deve aver suscitato molta paura. Si sa, il cane che ha paura morde, altrettanto la reazione del presidente del Consiglio Berlusconi non si è fatta attendere: "polizia per le università e le scuole occupate", "faremo fuori la violenza dal paese". Soltanto ieri Berlusconi aveva dichiarato di voler aumentare i sostegni economici alle banche e di voler fare dello stato e della spesa pubblica garanti in ultima istanza per i prestiti alle imprese: in una parola, tagli alla formazione, meno risorse per gli studenti, tagli alla sanità, ma soldi alle imprese, alle banche, ai privati.

Ci chiediamo allora dove si trova la violenza: è violenta un’occupazione o piuttosto è violento un governo che impone la legge 133 e il decreto Gelmini, in barba a qualsiasi discussione parlamentare? E’ violento il dissenso o chi intende soffocarlo con la polizia? E’ violento che si mobilita in difesa dell’università e della scuola pubblica o chi intende dismetterle per favorire gli interessi economici di pochi? La violenza sta dalla parte del governo Berlusconi, dall’altra parte, nelle facoltà o nelle scuole occupate, c’è la gioia e l’indignazione di chi lotte per il proprio futuro, di chi non accetta di essere messo all’angolo o costretto al silenzio, di chi vuole essere libero.
Ci è stato detto che sappiamo soltanto dire no, non abbiamo proposte.

Niente di più falso: proprio le occupazioni e le assemblee di questi giorni stanno costruendo una nuova università, un’università fatta di conoscenza, ma anche si socialità, di sapere ma anche di informazione, di consapevolezza. Studiare è per noi fondamentale, proprio per questo riteniamo indispensabili le proteste: occupare per poter far vivere l’università pubblica, dissentire per poter continuare a studiare o fare ricerca. Molte cose nell’università e nelle scuole vanno cambiate, ma una cosa è certa, il cambiamento non passa per il de-finanziamento. Cambiare l’università significa aumentare le risorse, sostenere la ricerca, qualificare i processi formativi, garantire la mobilità (dallo studio alla ricerca, dalla ricerca alla docenza). Il de-finanziamento, invece, ha un solo scopo: trasformare le università in fondazioni private, decretare la fine dell’università pubblica.
Il disegno è chiaro, anche gli strumenti: la legge 133 è stata approvata nel mese d’agosto, di fronte al dissenso di decine di migliaia di studenti si invoca l’intervento della polizia. Questo governo vuole distruggere la democrazia, attraverso la paura, attraverso il terrore. Ma oggi, dalla Sapienza in mobilitazione e dalle facoltà occupate diciamo che noi non abbiamo paura e di certo non torneremo indietro sui nostri passi.

È nostra intenzione, piuttosto, far retrocedere il governo: non fermeremo le lotte fin quando la legge 133 e il decreto Gelmini non verranno ritirati! E questa volta andiamo fino in fondo, non vogliamo perdere, non vogliamo abbassare la testa di fronte a tanta arroganza. Per questo invitiamo tutte le facoltà in mobilitazione del paese a fare la stessa cosa: vogliono colpire le occupazioni e allora che altre mille facoltà occupino!
In più, al seguito dello straordinario successo dello sciopero e delle manifestazioni del 17 ottobre, indetti dai sindacati di base, riteniamo giunto il momento di dare una risposta unitaria e coordinata nelle piazze delle nostre città. Proponiamo di dare vita a due scadenze nazionali: una giornata di mobilitazione per venerdì 7 novembre, con manifestazioni dislocate in tutte le città; una grande manifestazione nazionale del mondo della formazione, dall’università alla scuola, a Roma per venerdì 14 novembre, giornata in cui i sindacati confederali hanno decretato lo sciopero dell’università. Altrettanto riteniamo utile attraversare, con le nostre forme e i nostri contenuti, lo sciopero generale della scuola promosso dai sindacati confederali fissato per giovedì 30 ottobre.
Quello che sta accadendo in questi giorni ci parla di una mobilitazione straordinaria, potente, ricca.

Una nuova onda, un’onda anomala che non intende fermarsi e che piuttosto vuole vincere. Facciamo crescere l’onda, facciamo crescere la voglia di lottare. Ci vogliono idioti e rassegnati, ma noi siamo intelligenti e in movimento e la nostra onda andrà lontano!
Dalle facoltà occupate della Sapienza di Roma, dall’ateneo in mobilitazione

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GENOVA 2001 – il punto sui processi (rinfrescare la memoria fa bene…)

27 ottobre 2008 – Processo De Gennaro
Udienza preliminare che deciderà se dovranno essere processati l’ex questore di Genova Francesco Colucci per falsa testimonianza nel processo Diaz e l’ex capo della polizia De Gennaro per istigazione alla falsa testimonianza. Nel corso delle indagini sulla sparizione delle bottiglie molotov, il telefono dell’allora capo della DIGOS genovese Spartaco Mortola (imputato nel processo Diaz) fu messo sotto controllo: in una telefonata Colucci affermò di aver "aggiustato" la propria testimonianza, come voleva "il capo".

28 ottobre 2008 – Processo Manin
Prossima udienza del processo contro quattro poliziotti accusati di falso, calunnia e abuso d’ufficio. E’ prevista la testimonianza di uno dei due ragazzi spagnoli arrestati in Piazza Manin.

7 novembre 2008 – SENTENZA DIAZ
Lo scorso 17 ottobre gli avvocati della difesa hanno terminato le proprie arringhe. Fissate al 30 ottobre le repliche dei PM e al 6 novembre quelle della difesa.
29 poliziotti imputati, fra cui esponenti dei vertici della polizia Italiana, rispondono dei reati di lesioni, abuso d’ufficio, falso, calunnia, danneggiamento, furto. Le pene richieste ammontano complessivamente a 110 anni di carcere.

12 novembre 2008 – Processo Canterini
Nella prossima udienza sarà ascoltato l’ultimo teste della difesa. Il 3 dicembre si terrà la discussione finale. Vincenzo Canterini, comandante del reparto anti-sommossa che fece irruzione alla scuola Diaz e anche imputato in quel processo, è accusato di aver spruzzato – durante le manifestazioni del venerdì – gas urticante in faccia a 4 persone . Due di loro erano avvocati e la scena è stata filmata.

17 novembre 2008 – Processo Savonarola
Prossima udienza nel processo contro un ragazzo francese accusato di resistenza nei confronti di agenti appartenenti al VII nucleo del reparto sperimentale anti-sommossa. La difesa ha dimostrato attraverso i video che il verbale della polizia è falso. Il reato di falso degli agenti che lo hanno arrestato a breve sarà prescritto, ma potrebbero essere indagati per falsa testimonianza in questo processo.
10 dicembre 2008 – Processo Perugini
Il 16 ottobre scorso le arringhe dell’accusa e delle parti civili.
Perugini (ex numero 2 della DIGOS genovese, già condannato a 2 anni e 4 mesi nel processo per i fatti di Bolzaneto) e altri 4 agenti DIGOS sono accusati di falso, calunnia e abuso d’ufficio per l’arresto illegale di 5 manifestanti e un fotografo. In un famoso video si vede Perugini che tenta di sferrare un calcio in faccia ad un ragazzo minorenne, poi ritratto con un occhio orribilmente tumefatto. Il processo non riguarda tuttavia le lesioni, in quanto il giovane, parte offesa per l’arresto illegale, ha accettato un risarcimento extragiudiziale. Il PM ha chiesto 2 anni e 3 mesi per Perugini e Del Giacco, 1 anno e 8 mesi per Raschellà e Mantovani e 2 anni e 1 mese per Pinzone, accusato anche di aver minacciato con una pistola una delle persone arrestate nel tragitto verso la Caserma di Bolzaneto. La Difesa discuterà il 10 dicembre e la sentenza potrebbe essere pronunciata il giorno stesso.

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