Che Belpaese….

Vivere in Italia è proprio dura, in questo periodo. E non mi riferisco solo alla crisi economica che mette in difficoltà tutti noi nel mettere insieme il pranzo con la cena. Diventa difficile, ogni giorno sempre più, sentire le notizie dei telegiornali. Da tempo tutti si lamentano del sistema “drogato” dell’informazione, tutti sbandierano il fatto che il famoso e famigerato “conflitto d’interessi” non sia ancora stato risolto. Ma poi nessuno fa qualcosa per cambiare. Né i giornalisti, né i lettori dei giornali.
Che tempi pesanti. Speriamo di farcela…

Pubblicato in General, Riflessioni | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Che Belpaese….

Apre a Napoli il “Priscilla Summer Club” – Ad Agnano la nuova frontiera del divertimento a tema “etero-gay-friendly”

Miss Priscilla, la drag queen più famosa d’Italia, regina delle nuove notti brave

Ha inaugurato con un travolgente show ricco di musica, luci e costumi da sballo, il Priscilla Summer Club, il locale che prende il nome dalla più famosa drag queen di casa nostra: Miss Priscilla (al secolo, l’attore Mariano Gallo), già vincitrice del concorso di bellezza nazionale dedicato alle drag queen. La “serata zero”, andata in scena sabato scorso, ha riscosso un meritato successo di pubblico (tra cui spuntavano vips cittadini qua e là, tra politici, artisti, giornalisti, radiofonici, attori, etc.) ed ha stabilito un nuovo punto di arrivo per chi è alla costante ricerca di una location che sia trasgressiva ma non troppo, che riunisca diverse mentalità senza essere un circolo chiuso, che sia gay-friendly nel vero senso del concetto e non solo un modo furbo per nascondere l’ennesima serata dedicata ai soliti pochi. Il pubblico del “Priscilla” è formato da coppie, ragazzi e ragazze in gruppi, persone piacevolmente curiose e dal carattere aperto e positivo.

Il Priscilla Summer Club è un disco-lounge all’aperto e si trova in Via Pisciarelli 87 ad Agnano, Napoli (uscita Tang. Agnano, alle spalle del Tennis Hotel). Oltre alla pista vera e propria, l’inedito spazio allestito e curato dalla stessa Priscilla, presenta una zona priveè con dei box attrezzati con divanetti e sipari che danno sulla dance floor, una zona “reserved” ispirata agli anni ’70 con luci wood e sedute privacy, ed un attrezzatissimo bar, anche per i più esigenti in fatto di cocktails e drinks.

Il 2 luglio sarà la volta del concorso Miss Drag Queen Campania 2011, con cena spettacolo. L’ingresso al Priscilla Summer Club costa 10 euro, consumazione compresa. I priveè possono essere prenotati al 3384390702 o 3392530722.

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Apre a Napoli il “Priscilla Summer Club” – Ad Agnano la nuova frontiera del divertimento a tema “etero-gay-friendly”

Appello di Paolo Ferrero a politici e intellettuali: La Val di Susa è un bene comune

Il Ministro Maroni ha detto che nei prossimi giorni userà la forza per far partire i lavori della TAV in Val di Susa. Questo non è un problema solo degli abitanti della Valle perché loro stanno difendendo un principio generale: il diritto di un territorio a non essere sacrificato alla logica del profitto e delle mazzette. La Val di Susa è un bene comune come lo è l’acqua, l’aria, l’istruzione, la salute, la cultura, il lavoro. Il rischio è che la “Libera Repubblica della Maddalena” venga spazzata via con una repressione pari a quella che abbiamo visto e subito a Genova dieci anni fa. Sappiamo tutti che è così e nessuno potrà dire: “io non lo sapevo”. Qualche giorno fa abbiamo vinto un referendum, adesso si tratta mettere in pratica il referendum.

Gli abitanti della Val di Susa non possono essere lasciati soli, per questo invito tutte e tutti coloro che hanno una carica istituzionale, che hanno avuto una carica istituzionale, che sono giornalisti, intellettuali, sportivi, religiosi. Invito tutti coloro che una volta soltanto sono apparsi in televisione o che sono stati citati da un giornale ad andare a passare una notte a Chiomonte, per documentare, fotografare, dire e raccontare cosa sappiamo avverrà in Val di Susa e non vogliamo avvenga nell’ombra. Invito cioè tutti e tutte coloro che hanno una “figura pubblica” a mettere a disposizione una parte del proprio tempo – e della propria incolumità fisica – per impedire lo scempio di democrazia e civiltà che il Ministro Maroni ha annunciato in val di Susa. Per quanto mi riguarda passerò domenica notte a Chiomonte.

Paolo Ferrero

Pubblicato in Politica | Commenti disabilitati su Appello di Paolo Ferrero a politici e intellettuali: La Val di Susa è un bene comune

La lettura dei fatti in Libia con una prospettiva diversa – Johan Galtung, Libia: struttura profonda e struttura superficiale

Il bombardamento di Gheddafi a guida franco-anglo-italiana, che dura da tre mesi, in una guerra civile (in realtà inter-clan) in Libia, legittimato da 10 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza ONU nella risoluzione 1973, attivato da 8 dei 28 membri NATO con un vile bombardamento dall’alto, non sta funzionando come da programma. Per di più, uccidere civili per salvare la vita di civili e demolire il palazzo del parlamento per promuovere la democrazia, non comunicano bene lo scopo preteso. Eppure è difficile credere che la resistenza militare delle forze di Gheddafi non finirà prima che scada il nuovo termine di settembre, data la clausola standard USA “con tutti i mezzi necessari” – nonostante i primi articoli della risoluzione 1973 sulla tregua e i negoziati con il governo libico.

E Gheddafi stesso? La NATO sta uccidendo i membri della famiglia a uno a uno e può finire col cogliere anche lui, per un “cambiamento di regime”. Ma, come per bin Laden, preferiscono forse la sua liquidazione a un rinvio a giudizio all’Aja, e Gheddafi stesso può preferire una morte da eroe e il martirio.

E poi, che succede? Se ci facciamo guidare dalla passata esperienza, allora inizia la vera guerra, e può durare a lungo, davvero a lungo. Come dopo la vittoria in Afghanistan nell’ottobre 2001, sacralizzata nell’accordo di Petersburg, che non offriva nessuna possibilità ai taliban, considerati sgominati. Come dopo la “missione compiuta” di Bush nel maggio 2003, che annunciava proprio quel risultato. I resistenti smetteranno le loro divise, le bruceranno, vestendosi da civili. E la NATO passerà a truppe di terra, come successivo passo logico; con tutti i tipi di bombe. Non solo gli IED (Improvised Explosive Device, ordigni esplosivi improvvisati) sistemati nelle buche stradali, ma roba seria, bombe anti-carro – come sta avvenendo in Afghanistan – e commando suicidi in attesa. La NATO installerà un qualche regime, organizzerà elezioni tipo Afghanistan. Dopo aver mollato un decennio più tardi il suolo africano, comincerà la vera guerra, contro chi coopera con i “crociati colonialisti”.

Stupido da parte della NATO? Un club di ragazzi del giro, vittime della propria propaganda, compreso il fascino che provano per capi malvagi come Saddam Hussein, bin Laden, Gheddafi? In parte sì. Ma soprattutto il risultato di un’analisi costi-benefici disposta a correre i rischi appena citati perché c’è tanto di più in palio, sia fra i costi sia fra i benefici.

Halvor Ebbing (Klassekampen [Lotta di classe] del 14 maggio 2011, un quotidiano talmente valido per quanto riguarda gli affari esteri da giustificare l’apprendimento del norvegese), ha soffermato l’attenzione su un fattore situato nella struttura globale profonda, non nel mangime di superficie per politici e giornalisti: banche centrali statali contro banche private (come la Federal Reserve USA). Ebbing riferisce che Wesley Clark, capo del bombardamento anti-serbo di 78 giorni nel 1999 che portò alla capitolazione di Milosevic, al suo processo definitivo all’Aja e al suo decesso, ha raccontato al programma d’attualità TV USA non-mainstream ‘Democracy Now’ nel 2007 che dieci giorni dopo l’11 settembre era stato informato da un altro generale USA che gli USA programmavano di “fiaccare” sette stati “nei prossimi cinque anni”: Iraq e Iran, Libano e Libia, Siria, Sudan e Somalia. Hanno certamente “lavorato” su quei sette, ma la questione è che cos’abbiano in comune.
Ellen Brown risponde su Asian Times Online del 14 aprile (http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MD14Ak02.html ): non hanno banche centrali che possano essere regolamentate dalla banca centrale delle banche centrali, la Banca per le Composizioni Internazionali, la BIS di Basilea, Svizzera. La BIS promuove il sistema bancario globale privato mediante i suoi inteventi a favore del libero movimento del capitale, senza impedimenti dalla conduzione politica di stato da parte delle banche centrali di proprietà statale – come quelle dei sette paesi suddetti.

Ebbing confronta Saddam Hussein che introdusse l’euro per una parte degli scambi di petrolio –un fattore dietro l’invasione a guida USA del marzo 2003 – con Gheddafi che proponeva un dinaro aureo, sostenuto da quasi tutti i paesi arabi e africani. Sarkozy marchiò la Libia come “minaccia alla sicurezza finanziaria dell’umanità”, e preparò la rivolta di Bengasi nel novembre 2010 (http://www.voltairenet.org/) e l’intervento franco-inglese.

Una struttura non visibile a occhio nudo benché la dicotomia banche centrali private/statali sia un fattore secolare nella politica dei capitali. Ma quanti sono disposti a dare la vita per le banche centrali private? Contro le atrocità di Gheddafi, sì; ma tutto ciò finirà in nulla con l’eventuale caduta di Gheddafi. Probabilmente una causa persa.

Sicché la NATO non ne emergerà illesa. Perderà, non ci guadagnerà nei paesi arabi africani. La narrazione di Gheddafi sui “crociati colonialisti” (IHT del 16.06.11) è molto più forte di quella NATO, addirittura al punto che la Libia, non l’Afghanistan, può diventare la tomba della NATO. Nonostante l’ISAF (International Security Assistance Force), la guerra in Afghanistan viene vista a guida USA tanto che la tomba è già riservata loro come una delle tante per il dilagante impero USA; dopo quello inglese e quello sovietico.

La guerra in Libia che fa dell’Africa il terzo continente “fuori area” è talmente traballante che Bill Gates ha biasimato la NATO in quanto avviata alla “realissima possibilità dì irrilevanza militare collettiva”. Gli USA coprono il 75% della spesa, salita dal 50% durante il periodo d’oro della guerra allorché la NATO si limitava a operazioni di “teatro” (cioè l’Europa). Comunque, la causa del fallimento potrebbe essere più filosofica che finanziaria.

Gli USA possono a mala pena permettersi la guerra in Libia (Ron Paul), ma ciò vale anche per l’Inghilterra. Questione più filosofica: gli USA non vogliono essere considerati responsabili di un ennesimo disastro militare, dopo quelli dell’Afghanistan e dell’Iraq, e fiutano i segnali precoci meglio degli europei.

Tuttavia, possono anche tentare un assetto tipo Egitto-ottobre 1956, che dipendeva da una società privata del Canale di Suez così come oggi dalle banche centrali private, però rinnegando la Francia-Inghilterra; per imporsi meglio successivamente.

Quando solo i monarchi, gli emiri, e altri dittatori sono a favore della politica USA-Israele, e perfino il Marocco si muove verso la monarchia costituzionale? Quando Tunisia-Egitto-Yemen-Bahrain-Arabia Saudita-Siria-Iraq sfidano gli USA? Opzione: esecuzione extragiudiziaria di capi demonizzati – un sicuro acchiappa-voti.

Uscita: l’impero USA. Entrata: l’impero del puro Capitale globale.

20.06.11 – TRANSCEND Media Service
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: Libya: Deep Structure and the Surface

http://www.transcend.org/tms/2011/06/libya-deep-structure-and-the-surface/

Pubblicato in Riflessioni | Commenti disabilitati su La lettura dei fatti in Libia con una prospettiva diversa – Johan Galtung, Libia: struttura profonda e struttura superficiale

Un grande artista triestino del Novecento: Arturo Nathan (1891-1944)

L’undicesimo volume della collana d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste sarà dedicato a Nathan, pittore le cui opere sono conservate in importanti musei ed istituzioni nazionali e internazionali: suoi dipinti si trovano infatti al Museo d’arte di Tel Aviv, al Quirinale e al museo civico d’arte contemporanea di Milano, all’Ermitage in Russia e al museo Sztuki a Lodz, in Polonia, nonché ovviamente al Museo Revoltella e ai Musei provinciali di Gorizia. Arturo Abramo Raffaele Nathan nasce a Trieste il 17 dicembre 1891, figlio di Jacob Nathan e Alice Luzzato.

Dopo gli studi liceali nella nostra città, viene mandato dalla famiglia a Londra e poi a Genova per iniziare l’attività commerciale: non incline agli affari si iscrive alla facoltà di filosofia del capoluogo ligure. Cittadino inglese (il padre è nato a Bombay), durante la prima guerra mondiale è obiettore di coscienza: tornato a Trieste in stato depressivo, entra in analisi dallo psicanalista Edoardo Weiss, allievo di Freud, che lo sprona a portare in pittura i propri stati d’animo. Le prime opere datano dal 1921, nel 1925 si reca a Roma per conoscere Giorgio de Chirico con il quale stringe amicizia. L’anno dopo esordisce alla Biennale di Venezia, dove espone fino all’avvento delle leggi razziali.

Molte le sue partecipazioni a mostre nazionali e internazionali di quel periodo: la sua prima personale la tiene a Milano, accanto agli amici triestini Leonor Fini e Carlo Sbisà. I dipinti di Nathan, realizzati con una tecnica lenta, sorvegliata, mostrano spiagge popolate da cavalli e fiere, statue e ruderi antichi, isole e vulcani, fari e vascelli in lontananza, spesso colti nel momento del naufragio o ancora inerti all’interno del cantiere navale.

La predilizione per il mare è fortissima, i riferimenti a De Chirico e Carrà originali: con loro espone a Trieste, alla Mostra d’Arte d’Avanguardia del 1931 curata da Manlio Malabotta. Durante la seconda guerra mondiale viene confinato quale cittadino brittanico nelle Marche, prima a Offida e poi a Falerone. Grazie all’aiuto di Carlo Sbisà da Trieste, nonostante le difficoltà belliche e il soggiorno coatto Arturo Nathan può continuare a lavorare a pastello. Ma le vicende dell’8 settembre lo colgono indifeso: arrestato nell’ottobre del 1943, viene detenuto prima a Servigliano e poi a Fossoli. Il 16 maggio 1944 è deportato a Bergen Belsen. Muore a Biberach dopo il 20 novembre 1944.

Incaricato dello studio dell’opera di Nathan è Enrico Lucchese, docente di storia dell’arte presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste, il quale sta raccogliendo ogni materiale che possa essere utile per meglio comprendere la personalità, non solo artistica, di un maestro spesso poco considerato: proprio la pubblicazione di una monografia, prevista per la fine del 2009, potrà risarcire o almeno iniziare a risarcire una lacuna ingiusta.

Chi avesse dipinti, disegni, fotografie, carteggi o altri documenti inerenti Arturo Nathan può mettersi in contatto direttamente con questo ricercatore: Enrico Lucchese, Dipartimento di Storia e Storia dell’Arte, Università degli studi di Trieste, Androna Campo Marzio 10, 34123 Trieste, telefono 040 558 4446, cell. 3408324002, email lucchese@units.it

Pubblicato in Memoria | Commenti disabilitati su Un grande artista triestino del Novecento: Arturo Nathan (1891-1944)

La persecuzione dei Rom è ormai una realtà anche in Francia

 
da La Voix des Rroms
Parigi, 24 maggio 2009. Diego, un bambino Rom romeno, è morto ieri nell’incendio della baracca in cui vivevano i suoi genitori. Ce lo comunica "La Voix des Rroms" di Parigi, una delle più attive organizzazioni per la tutela dei diritti del popolo Rom nell’Unione europea. "Il destino tragico del bambino, "scrive Saimir Mile, presidente dell’associazione, "è la fotografia della condizione in cui sono costretti a vivere i circa seimila Rom romeni che si trovano in Francia. L’incendio è stato spento dai vigili del fuoco che, purtroppo, non sono riusciti a salvare il piccolo Diego. La questione però resta drammaticamente aperta: non bisogna aspettare i pompieri per occuparsi dei Rom, ma è lo Stato che deve intervenire per consentire a queste persone di vivere con dignità, consentendo loro di lavorare. La Francia ha accettato l’adesione di Romania e Bulgaria nell’Ue, che dall’1 gennaio 2007 ne fanno parte a pieno diritto. I Rom provenienti dai due Paesi, tuttavia, non sono aumentati: erano seimila nel 2002 e restano seimila oggi. Nonostante siano cittadini dell’Unione, però, non hanno diritti e possono lavorare solo con un permesso speciale rilasciato dalle prefetture, documento impossibile da ottenere. Così sono costretta a vivere in baraccopoli, lavorando in nero, vendendo giornali e fiori o mendicando. Diego andava a scuola, nonostante la sua famiglia fosse allontanata da un luogo all’altro dalle forze dell’ordine. Per i suoi sogni di bambino, è ormai tardi, ma non lo è per i suoi fratelli e sorelle, i cugini e gli altri. Come potranno, tuttavia, realizzarli, se le famiglie sono braccate e cacciate da un luogo all’altro o espulse al Paese? La Voix des Rroms chiede l’interruzione delle misure restrittive che lo Stato francese prevede per i Rom romeni e bulgari, misure che impediscono loro di inserirsi nel mercato del lavoro e di prendere residenza in una località. E’ la base senza la quale nessuno sforzo diretto all’integrazione dei Rom provenienti da tali Paesi andrà a buon fine, ma resterà nel novero delle buone intenzioni o elle promesse ipocrite".
Parigi, 26 maggio 2009. Ci scrive ancora Saimir Mile: "Stamattina uno spiegamento di forze di polizia, accompagnate dalla Croce Rossa, ha evacuato le famiglie Rom romene ospitate provvisoriamente presso il gin

Pubblicato in Politica | Commenti disabilitati su La persecuzione dei Rom è ormai una realtà anche in Francia

CARROCCIA, PRC: RIFONDAZIONE ONORA SEMPRE I SUOI DEBITI

In questi giorni il Prc romano è stato sommerso da invettive, ingiurie, insulti, riportati anche dalla stampa. “Rifondazione non paga” dice la coop. Zona Rossa, ma ad oggi non è chiaro cosa e se dovrebbe pagare Rifondazione. Infatti al decreto ingiuntivo notificato nel marzo 2009, la federazione romana del Prc ha fatto opposizione chiedendo i titoli relativi ai presunti crediti di Zona Rossa, che per tutta risposta ha deciso di insultare e calunniare rifondazione comunista e il suo segretario romano.
I titolari di Zona Rossa (uno dei quali ha ricoperto incarichi nel gruppo dirigente romano del Prc, essendo stato proprio il responsabile alla stampa e alla propaganda) sono a conoscenza di questa richiesta ma nicchiano ancora nel produrre prova del loro vantato credito. Credito che sarà onorato come sempre se sarà data prova della sua sussistenza a carico del Prc romano.
Si tratta quindi di un grave atto di sciacallaggio politico a pochi giorni dal voto a danno del Prc romano e della sua comunità che tra mille sforzi e sacrifici anche personali sta conducendo una difficile e gravosa campagna elettorale.

Pubblicato in Politica | Commenti disabilitati su CARROCCIA, PRC: RIFONDAZIONE ONORA SEMPRE I SUOI DEBITI

L’apartheid dei sessi nei bus ultima trovata degli ultrà ebrei – Bus per sole donne contro “mano morta” in Messico

Ancora ultraortodossi brutti, neri e cattivi nel mirino antisemita. Dopo Anna Foa è la volta di Libero. Notate i termini: "purezza", "immonde" e un po’ di sana pruderie: "Pochi contatti, ma intensi…". Poi leggete l’articolo sotto. Stessa divisione in Messico. Lì però non è "apartheid", le donne non sono discriminate, ma "protette". DP

L’apartheid dei sessi nei bus – Ultima trovata degli ultrà ebrei

Caterina Maniaci – Libero 26/04/09

Iniziativa "moralizzatrice"
Per le strade e nelle case di Mea Sharim, il quartiere ultraortodosso di Gerusalemme, il tempo e i ritmi sono scanditi con precisione. Tutto si legge attraverso l’ "halacha", il codice etico dell’ebraismo. Il punto cardine è comunque il concetto di purezza, strettamente connesso a quello della "tzniut", la modestia femminile. Dunque, qui sembra naturale che si pensi, adesso, ad autobus separati, con pensiline col divisorio. Questa è infatti l’ultima battaglia dei rabbini ultraortodossi della Città Santa: usare autobus appositi, appunto, per le donne, con apposite fermate. Così non ci saranno più calche immonde. Al sindaco della città, Nir Barkat, è arrivata l’ennesima petizione degli ultraortodossi che considerano immondo, a Gerusalemme, vedere questi carichi di persone mischiate fra loro all’ora di punta, uomini e donne che si schiacciano, e si toccano, senza il minimo pudore. Insomma, i rabbini vogliono solo pullman timorati di Dio, come già ne hanno ottenuti nel 2008, quando la compagnia municipalizzata Egged provvide alle loro esigenze e si dotò di mezzi secondo morale. Giovedì scorso, dunque, i rabbini hanno deciso di organizzare un sit-in di duemila persone all’ingresso di Meah Sharim, al grido di: «Traveling the right way», viaggiare nel modo giusto e sulla retta via.

L’idea di purezza
Chissà se anche questa volta la spunteranno. In ogni caso, la vita delle comunità ultraortodosse del mondo, da Gerusalemme fino al quartiere chassidico di New York (così magistralmente descritto nei romanzi di Chaim Potok) , è scandito proprio da quel codice etico e dall’idea irrinunciabile di purezza. Dall’alba la giornata degli haredim, i timorati di Dio – da harada, paura – possiede ritmi scolpiti da una legge immutabile. Gli uomini escono per le loro faccende, vestiti quasi sempre con cappotti neri, in testa cappelli scuri a tesa larga, o di pelliccia a shabbat, il sabato di assoluto riposo. Si dedicano quasi solo allo studio delle scritture, sono esentati dal servizio militare. Le loro mogli indossano parrucche tutte uguali per coprire i capelli e non esporre l’uomo a tentazione, vestono soltanto gonne sotto il ginocchio e pesanti calze scure anche in estate o in mezzo al deserto, camicette bianche e abbottonate, fazzoletti o cappelli in testa. Per le strade dei loro quartieri, sui muri sono appesi cartelli che ricordano a loro, e all’eventuale passante, di attraversare le strade soltanto se vestiti in maniera decorosa e modesta. Pochi e centellinati i rapporti con gli uomini, sia in pubblico che in privato; però, in privato, i contatti sono pochi ma, come dire, intensi, visto che queste donne formano famiglie che contano da un minimo di cinque ad un massimo di dieci, diciassette i figli.

In qualche modo miracoloso, però, le donne riescono a ritagliarsi momenti preziosi, quando si infilano, silenziose e sfuggenti, nei vari centri di bellezza che stanno moltiplicandosi tra le vie polverose e trasandate di Meah Sharim. Perché la moglie ideale non deve pensare alla bellezza del corpo, ma a quella del viso, che è scoperto, mentre il resto non si vede. Vanno forte i trattamenti per ridurre rughe, doppi menti, per togliere i peli superflui, per un trucco perfetto. Ci si prepara per la sera, quando tutta la famiglia si riunirà per la cena: la moglie dovrà piacere il marito. Ma se lei si trova nei giorni del ciclo mestruale, niente da fare. Non la si può neppure sfiorare e non potrà toccare il cibo.

Anti-sionisti
All’epoca della fondazione dello Stato nel 1948, gli ultraortodossi residenti in Israele erano pochissimi. Infatti, gli haredim si opponevano decisamente al sionismo, che consideravano contrario alle tradizioni ebraiche. Negli ultimi anni la consistenza di questa comunità si è sviluppata in modo esponenziale. Mediamente, ogni donna haredi ha 7,6 figli (tre volte il tasso relativo alla popolazione ebraica israeliana nel suo complesso). In Israele coloro che si riconoscono negli ultraortodossi sono circa il 12% della popolazione. A Meah Sharim gli haredim saranno circa un migliaio.


=============================================================
Bus per sole donne contro "mano morta"

Così il Messico dichiara guerra ai palpeggiamenti di cui sono vittime le donne sui mezzi pubblici

CITTÀ DEL MESSICO – Ah com’è gradevole viaggiare tra sole donne. «Anche se ho 58 anni gli uomini mi si incollano addosso, immagina perciò cosa succede alle ragazze», racconta Alejandra Lugo tirando un sospiro di sollievo poco prima di salire su uno degli autobus riservati esclusivamente alle donne che da lunedì scorso sono in circolazione a Città del Messico.

PROGRAMMA PILOTA – I bus per donne rientrano in un programma pilota per proteggere le passeggere spesso esposte a molestie sessuali nei trasporti comuni in Messico: nelle ore di punta, molte linee affollate hanno messo in circolazione – ogni 20, 30 minuti – bus vietati agli uomini. Secondo un tribunale di Città del Messico, lo scorso anno il 14% di molestie, abusi sessuali e stupri contro le donne sono stati commessi in autobus e metro.

«ENTRI VERGINE E ESCI INCINTA» – «Ci tocca sopportare gli uomini che ti spingono, che ti palpano, che tentano di prenderti la borsetta. Nessuno cede il posto a donne incinte o con bambini» si lamenta Susana Navarro, giovane disegnatrice industriale. Per arginare le violenze sessuali, sulle linee del metro già da tempo i primi tre vagoni sono riservati alle donne ma solo nelle ore di punta. «Una donna può entrare vergine in una carrozza del metro e uscirne incinta», commenta una giovane ventunenne messicana. Esperienze tristi anche per i conducenti di autobus. Josè Aragon, 13 anni di servizio, racconta che ha dovuto «dare assistenza a passeggere che erano state aggredite da uomini» e che spesso «ha dovuto chiamare rinforzi della polizia». I bus riservati alle donne non hanno ancora sollevato proteste maschili: qualcuno si innervosisce, ma nessuno ancora ha provato a entrare con la forza, testimonia un agente della Rete di trasporti (RTP) che insieme ad altri colleghi sono stati messi a fare la ronda all’interno dei veicoli perchè non avvengano soprusi.

16 gennaio 2008

http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_16/messico_mano_morta_48ddb76e-c443-11dc-8fe5-0003ba99c667.shtml

Pubblicato in Politica | Commenti disabilitati su L’apartheid dei sessi nei bus ultima trovata degli ultrà ebrei – Bus per sole donne contro “mano morta” in Messico

Caetano Veloso Zii e Zie (Transamba)

 Caetano Veloso Zii e Zie (Transamba) 23apr09

Caetano Veloso è un festa, una gioia e una mia continua sorpresa! lo so, sono imparziale e prevenuto come una suora a Fatima, ma la mia vita è talmente appiccicata alla vicenda di Caetano Veloso che ogni volta che apre bocca io mi metto sull’attenti poco prima di un deliquio di sensi. sono un fan e come tutti i fans ho smesso da tempo di ragionare. parla il cuore, il mio sorriso ebete e una nidiata di farfalle che svolazzano nello stomaco!
ho infestato questo blog di parole e foto e suoni di Caetano, e posso assicurare che mi sto trattenendo. ma se arriva un disco nuovo non posso esimermi dal parlarne. debbo in qualche modo esorcizzare l’entusiasmo, condividere la gioia e sedare la mia imbecillità adorante!

Caetano Veloso Zii e Zie (Universal, 2009) è il naturale seguito del precedente Cê del 2006. medesimo concepimento strutturale affiancato dai tre giovani musicisti (che sono divenuti per l’appunto Banda Cê): Pedro Sa chitarra elettrica e basso, Ricardo Dias Gomes basso e Fender Rhodes e Marcelo Callado alla batteria!
il titolo è in italiano (!?!) e a quanto pare ha sostituito all’ultimo momento il previsto Transambas (che chissà che voleva dire?): proviene da una suggestione di lettura (in italiano) del romanzo Istanbul del nobel turco Orhan Pamuk! e lo stesso Caetano a confessarlo nel suo blog Obra Em Progresso a squisita disposizione di madrelingua e/o coraggiosi traduttori! entrambi i titolo sono rimasti però sulla copertina (bruttina) che ritrae, in uno scatto virato opaco, la spiaggia di Leblon!

13 canzoni (due cover come tradizione impone) venate della stessa trama elettrica del precedente disco. ma addolcite sono le asperità, funzionale all’immensa vocazione melodica è diventata la sperimentazione e lo sguardo si volge a samba e a marcette burlesche. A Cor Amarela e Diferentemente erano state ascoltate in acustico l’anno scorso a Ferrara, Perdeu è il principio di intenti di rara bellezza, Sem Cais è il cherubino che continua a vendere l’anima a Caetano per poter ancora esibirsi su questa terra, Base de Guantánamo è la Haiti di questi nostri tristi giorni, Menina da Ria la sintesi di tanti trio electrico sfilati al carnevale! e poi bossa e samba in parti mescolate, freschezzafunk e spirito giovanilistico che sorprende ancora alla tenera età di 67 anni!

Caetano – oggi – è tutto questo! paragonabile oramai solo a se stesso, immenso nell’incarnare 40 anni di musica popolare brasileira e a voler spostare ancora oltre l’obiettivo di una ricerca lunghissima. sorprenderà forse i neofiti, lo spero, mentre i vecchi ammiratori riconosceranno traiettorie melodiche e un songwriting oramai familiari. ma cosa si può chiedere ancora alla maestosità di questa carriera? cosa si può domandare se non un’altra canzone e poi un’altra ancora? sarebbe esoso chiedere la rivoluzione a chi la rivoluzione l’ha già fatta quando i molti ascoltatori di oggi non erano neppure nati. un vecchio adagio recita che la rivoluzione la si fa una volta nella vita, e lui – molto tempo addietro – l’ha già chiamata Tropicalismo!
per oggi c’è un nuovo disco, nuova gioia, immensa classe e sensibilità sociale, artistica e politica.
per oggi può bastare: bentornato!

 

tratto da http://borguez.wordpress.com/2009/04/23/caetano-veloso-zii-e-zie-transamba/

Pubblicato in Suoni | Commenti disabilitati su Caetano Veloso Zii e Zie (Transamba)

Non voglio più vergognarmi di essere italiana

Cara società civile italiana, ti scrivo una lettera perchè troppo cupi sono stati il dolore e la vergogna che ho provato a Maputo e a Sarajevo. Una vergogna maturata da prima dei respingimenti di donne e uomini migranti e ora anche l’approvazione del "pacchetto sicurezza" razzista in Parlamento. La voce autorevole del Presidente Napolitano è apparsa l’unica risposta basata sulla ragione e i principi fondamentali dei diritti umani. Da oltre trenta anni sono attiva nelle associazioni e nei gruppi di solidarietà e cooperazione internazionale. Dall’Africa, al Medio Oriente, America Latina e Balcani, ho sempre sentito una forte e fiera appartenenza e identità di pacifista a attivista del mondo della solidarietà e cooperazione italiana. Ovunque abbiamo agito, con coraggio, pur con difficoltà dovute principalmente alla miopia, della parte più ottusa del mondo politico, proponendo azioni e strategie politiche concrete basate sulla nostra esperienza praticata nelle aree difficili del pianeta. Si trattasse di proporre vie costruttive di uscita dalla crisi e violenza, di guerra, in Medio oriente, con i nostri amici dei movimenti attivi nei Territori Palestinesi o libanesi, iracheni, o in Africa e nella ex Jugoslavia e in Albania, abbiamo intessuto straordinarie relazioni non solo solidali ma anche ricche di capacità politica per la costruzione di possibilità nonviolente di uscita dai conflitti, di ricostruzione paziente delle società tormentate dalla guerra o dalla povertà, mettendo al centro le persone le comunità, non solo fisiche ma soprattutto umane e sociali. 

E’stata una nostra costante parola d’ordine, un nostro principio guida universale, valido e forte: Non esiste una pace vera, senza diritti umani civili, senza democrazia senza partecipazione, prima di tutto nella vita umana di tutti i giorni.

Lo abbiamo praticato, questo approccio, in tante aree della Terra. In Africa, nella lotta all’apartheid e per la liberazione di Mandela, o a sostegno del popolo Saharawi, a sostegno dei movimenti di liberazione per l’indipendenza dai regimi coloniali. E poi in ormai 35 anni di esperienze di progetti e programmi di cooperazione allo "sviluppo". In tante relazioni di amicizia vera tra persone e organizzazioni di comunità del sud e del nord, in quello che chiamo partenariato onesto tra soggetti simili socialmente e politicamente. 
Non si è trattato infatti, solo di progetti ma spesso di legami tra espressioni di società civile attiva nei territori e comunità con le quali abbiamo sentito il forte bisogno di lavorare, ognuno a partire dalla propria realtà, noi qui nel nord, in Italia, e loro nei sud, per un comune obiettivoà: l’urgenza di fare la nostra parte per cambiare il mondo, di batterci per costruire nuove regole e principi. Quei criteri che sin qui hanno condotto alla crisi di quella che denunciavamo essere insostenibiltà del sistema finanziario, globale, che drammaticamente e puntualmente oggi abbiamo davanti a noi, di cui i poveri della Terra pagano e pagheranno inesorabilmente il costo.

Non tutti abbiamo, nella società civile italiana, sentito allo stesso modo, questa consapevolezza di responsabilità, che va oltre la più nobile delle solidarità.
Una responsabilità che solo alcuni hanno espresso coniugando imprescindibilmente, la lotta per i diritti delle migranti e dei migranti qui in Italia e in Europa e l’azione di solidarietà e cooperazione nel mondo, la lotta alla povertà. Per me tutto ciò è, qui ora e sempre, inscindibile da una ferrea, incondizionata, lotta al razzismo. A ogni forma e in ogni luogo dove questo si manifesta.
Non è possibile la convivenza tra sentimenti e dunque azioni politiche (per me sono sia quelli che dipanano i partiti così come i singoli individui) di declamata lotta alla povertà e forme più o meno "raffinate" e ipocrite di puro razzismo.

Nell’estate del 2006 scrivemmo un manifesto che intitolammo una "badante è una cooperante". Per alcuni risultava una provocazione, per altri era una constatazione, un fatto, una denuncia. Un sasso lanciato verso le istituzioni, l’opinione pubblica ma anche e soprattutto, a noi della cosiddettà società civile. Il nesso tra lotta per i diritti e la dignità delle e dei migranti, la lotta al razzismo e la cooperazione Internazionale, non era scontato allora e non lo è più in modo crudele ed eclatante oggi.
Si può dire di essere impegnati nella lotta alla povertà senza occuparsi contestualmente qui e ora la propria condanna al razzismo e ai provvedimenti che autorizzano i respingimenti, introducono il criminalizzazione di donne e uomini clandestini. Dicevamo che la Badante era una cooperante. Oggi se perde il lavoro a causa della crisi, non abbiamo niente da dire se viene per decreto diventa criminale perché clandestina e espulsa?

Io non dimentico. Il nostro attaccamento declamato ai principi scritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani svanisce alla prova dei fatti.
Troppe volte ho sentito risuonare parole di stupore, ho visto storcere il naso, esprimere tra le righe il dissenso più o meno celato. E’ la non comprensione del nesso, "che c’entra la cooperazione e la solidarietà internazionale con l’immigrazione e la sicurezza?" che mi da la misura della distanza, della incompletezza e contradditorietà di certe nostre azioni. Come si potesse separare, sentire sostenibile o complementare la nostra nobilissima solidaretà e cooperazione piccola media o grande che sia… purchè ben lontana da qui. Da ciò che qui pratichiamo nella società, nel territorio di questo 
paese.
Credo che in questi, sottili o grandi quanto una trave, elementi di "dissociato" approccio alla realtà che non può che essere universale, affondano le radici della cultura non più solidale e razzista che è oggi egemone in Italia. Sono segnali che da tempo covavano anche nel nostro caro mondo solidale, nella nostra cara società civile.

Ha vinto l’egoismo, spero solo per ora, perchè mi auguro maturi tra le persone, e prima di tutto in quello che era il vasto mondo della solidarietà un sussulto pari almeno a quello della generazione dei nostri genitori che seppe fare negli anni bui, quando in Europa infestava il fascismo e il nazismo e in Italia nacquero le condizioni per le leggi razziali. Loro seppero reagire, trovare in se stessi le forze migliori, in molti ci hanno rimesso generosamente la vita per costruire un mondo migliore, per mettere fine alla guerra, per costruire uno stato democratico, per costruire e affidarci una Costituzione di cui andare fieri. Un regalo, il loro, al quale non ci stiamo dimostrando all’altezza.

Voglio nel mio piccolo provare ad onorarlo, dicendo che provo vergogna per il suicidio di Nabruka, perchè non abbiamo fatto abbastanza perchè sentisse che pure in minoranza, ma noi ci siamo, c’eravamo, per difendere il suo diritto alla vita, al sogno. Dichiarando il mio dissenso dal silenzio della società civile italiana che salvo alcune preziosissime eccezioni, non trova il modo, o forse la voglia e l’intelligenza e dunque la necessità di manifestare l’indignazione per ciò che accade con i respingimenti, con le ronde, insomma con lo sdoganamento istituzionale della peggiore e ottusa cultura che prevale tra le cittadine e i cittadini di questo paese oggi.

E qui vengo alla mia vergogna che ho masticato amaramente in questi giorni. A Sarajevo in un seminario internazionale, il presidente di una ONG austriaca ha fatto un parallelo ormai purtroppo usuale in questo tipo di consessi, quello tra ciò che Hitler denunciava e cioè l’inaccettabilità dell’esitenza di 500mila disoccupati in Germania e il al tempo stesso il numero di ebrei presenti nel paese, e ciò che accade oggi in Europa e soprattutto nel suo paese diminato anch’esso dalla destra e in Italia con il fenomeno del razzismo poggiato su simili approcci: la denuncia della insicurezza e la disoccupazione e l’insostenibilità dell’arrivo dei migranti dai paesi più poveri, della necessità di porre un limite e dunque respingerli. 
Del resto lo dice pure Fassino, legittimando dall’altra parte reazioni altrettanto razziste della Lega o della destra in generale. E’ questo che mi preoccupa, che mi spaventa. Non è solo Berlusconi. E’ il popolo italiano, che a grande maggioranza lo sostiene e che lui rappresenta in modo forse spettacolare, ma assolutamente vero. E’ con questa realtà nuda e cruda che dobbiamo fare i conti.

La reazione non univoca e indecisa dell’opposizione che mi lascia stordita. Cosa è accaduto?  Ma mi chiedo a chi posso pensare per condividere questo senso di rivolta, di indignazione per esprimere un’adeguata risposta nelle strade, nella società, con le persone, e verso le istituzioni, verso il cosiddetto mondo della politica? Mi guardo intorno e tanti compagni di strada con cui ho condiviso lotte in anni di inziative sull’Africa, il debito, la solidarietà la riforma radicale della cooperazione italiana, per un modo più giusto. Dove sono? Brillano in questo buio, solo poche luci. Quelle degli spazi delle donne, come il coordinamento contro il razzismo, il Centro Benny Nato e pochi altri, ma sono piccoli, sono, siamo minoranza, priva dei mezzi per attrezzare e dare gambe a una necessaria 
ricostruzione e rivoluzione prima di tutto culturale da dispiegare nella nostra società.

Esistono molte persone e gruppi che lavorano ogni giorno testimoniando che nonostante tutto un’altra Italia ancora esiste. Ma manca la strategia comune, un luogo comune.
Mia madre, che per tutta la vita si è battuta per i diritti, credendo fortemente nell’abbattimento delle frontiere spinta da un ideale internazionalista solidale e responsabile che ha materializzato nella sua pratica di vita, da quando partì con altri giovani da tutto il mondo nell’immediato dopoguerra per ricostruire Varsavia distrutta dalla seconda Guerra mondiale dove trovò mio padre che aveva lo stesso spirito e idee, ha da poco chiuso gli occhi per sempre e io pur nello sconforto e nella tristezza ho pensato che almeno non ha visto la fine che ha fatto quel grande popolo della solidarietà che in 
Italia aveva conosciuto e amato. E’ una sensazione di potentissima impotenza. Ma voglio provare, come dovettero fare lei e tanti altri giovani in un momento forse più duro del nostro, a ricostruire le ragioni e il senso dei più basilari principi del diritto e di umanità.

Qualcuno in questa società "civile" si affacci, batta un colpo, trovi il coraggio di pensare con la testa e non con la pancia. Provi a fare 2 più 2 unendo ciò che oggi separa, senza trovarvi contraddizione, le nobili iniziative contro la Povertà nel mondo e il più o meno latente razzismo concreto qui in casa loro.
Lo facciano anche le reti concentrate a preparare eventi intorno e o contro il G8. Non ho visto esprimere una sola parola sui respingimenti dei poveri qui e ora. Non una parola per Nabruka che accompagni le analisi sul Fondo Monetario Internazionale. Questi poveri del mondo stanno bussano anche alla loro porta. Lo sanno? O non se ne sono accorti o pensano che siano "altra cosa" da ciò di cui si occupano ogni giorno?

A quando una manifestazione, non una qualunque, una cosa invece immensa e umana? Che simboleggi il dissenso e restituisca loro una dignità con la quale presentarsi ai loro stessi parters dell’Africa, Asia America Latina, Balcani e Medioriente? Il pressionometro o "PressoOttometro" io l’ho messo in casa mia da tempo, ma non quello inaugurato in Campidoglio per misurare il grado di pressione sui governi dei G8, ma sul grado di civiltà della società "civile". Tutt’altro che arresa ma senza illusioni, aspetto una risposta.

Raffaella Chiodo Karpinsky

 

 

Pubblicato in Politica | Commenti disabilitati su Non voglio più vergognarmi di essere italiana