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Non amano
l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte
settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle
città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti
alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano
pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li
evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la
voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le
donne tornano dal lavoro.

 

I nostri
governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non
hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e
quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali

 

 

Che
sia un estratto da un comizio di Bossi o Berlusconi? 

 


Propongo che si
privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma
disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani
rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione,
provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di
provenienza e a rimpatriare i più.
La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione.

 

 

 

Relazione
dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati
italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912

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PAOLO FERRERO: “Riprendiamoci la Fiat”

da il Manifesto di martedì 19 maggio 2009

INTERVISTA Il segretario del Prc sostiene la Fiom e chiede lo sciopero generale
PAOLO FERRERO: "Riprendiamoci la Fiat"
Intervento pubblico contro ipotesi di tagli

Loris Campetti

"I profitti alla Fiat, i tagli ai lavoratori." Può sembrare schematico definire così il modello partecipativo di sindacato che tanto successo sta incassando in Italia. Il segretario di Rifondazione Paolo ferrero conosce bene quest’ordine di questioni. E conosce la Fiat, dove ha lavorato come operaio il secolo scorso. Perciò, questo suo commento tranchant sull’acquisizione della Chrysler va preso sul serio.

Cosa pensi delle performances di Sergio Marchionne?

L’amministratore del Lingotto tratta con gli stati e i governi, quelli almeno che pongono condizioni alla vendita delle loro società. Negli Usa, e non solo, il governo salva le banche private, con i soldi dei lavoratori utilizzati per evitare che gli speculatori perdano i loro, in conseguenza delle scelte che hanno fatto. E i mille miliardi alle banche non sono considerati assistenza.

In che modo pagano gli operai americani?

Con il salario differito. I fondi pensione, che ora in Chrysler detengono il 55% del capitale, questo sono. Una proprietà pagata con licenziamenti di massa, riduzione drastica della copertura pensionistica e sanitaria, per non parlare dei sei anni di rinuncia a esercitare il diritto di sciopero. Profitti e garanzie di pace sociale alla Fiat, costi ai lavoratori. Il modello di cogestione che comporta la presenza dei sindacati nei cda è l’opposto di quel che serve da noi, se si vuole superare la condizione attuale dei lavoratori trattati come variabili dipendenti del capitale.

La Fiat tratta con i governi, ma non con quello italiano.

Esattamente, e concede garanzie a chi giustamente le pretende: garanzie occupazionali, non chiusura di stabilimenti, garanzie ambientaliu. In Italia, a parte i sindacati, queste garanzie non le chiede nessuno, e dunque i nostri lavoratori sono quelli che rischiano di pagare il conto più pesante, , in un ipotesi di accordo con Opel. Se è vero che mettendo insieme Fiat, Opel e Chrysler si moltiplica per tre la capacità produttiva, è altrettanto vero che la domanda, dentro la crisi che atrtraversa l’auto, non si triplica di sicuro. In questa logica i tagli rischiano di diventare un fatto automatico. Perché il governo italiano è l’unico, per subalternità confindustriale, a non mettere il becco. Dal canto loro, Cisl e Uil cantano nello stesso coro liberista che aggrega praticamente tutto l’arco parlamentare.

Per fortuna i metalmeccanici. Piuttosto soli, però, anche rispetto alla cosidetta società civile che sabato a Torino non era in piazza con le tute blu.

Una manifestazione sacrosanta, collocata in un deserto di iniziative sindacali, in un contesto che chiederebbe lo sciopero generale contro le risposte del governo alla crisi.

Resta la solitudine operaia.

Questo ci ricorda che c’è un’egemonia culturale della destra, forte di una mancata risposta politica generale. I conflitti non mancano, li incontro ogni giorno nelle fabbriche e nella società. Quel che manca, insisto, è una rispos
ta generale.

Cosa chiede Rifondazione?

Blocco dei licenziamenti, nessuna chiusura di stabilimenti, ed estensione a tutti della cassa integrazione, per evitare la guerra tra poveri.

E per tornare alla Fiat?

Lo stato deve intervenire con investimenti finalizzati allaa ricerca e allo sviluppo di tecnologie incentrate su fonti energetiche eco compatibili. Serve una riconversione ambientale dell’economia. Se invece la Fiat proseguisse sulla strada dei tagli, servirebbe un intervento ben più consistente dello stato per perseguire una strada diametralmente opposta. In questo senso non mi spaventa parlare di nazionalizzazione della Fiat, pur di salvare l’ultimop importante pezzo industriale del paese, l’automobile, che da lavoro a più di un milione di persone.

La grande manifestazione di Torino si è però conclusa con l’assalto al palco da parte dello Slai-Cobas. Che giudizio ne dai?

Che è un atto inaccettabile, sbagliato, con cui si è tentato di oscurare la manifestazione e il protagonismo dei lavoratori. Se la prendono con la Fiom, inj trincea con un’idea giusta di sindacato. Politicamente quell’azione è stata un favore a chi vuole affossare il movimento. Bisogna operare perché episodi del genere non si ripetano. Per quanto ci riguarda, noi continueremo a lavorare per ricostruire in Italia un’opposizione sociale, politica e culturale.

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Il nuovo volto crudele

Il nuovo volto crudele

 Articolo di Raniero La Valle nella rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca@cittadella.org ) 

Non ripeteremo qui tutte le critiche che sono state rivolte alla pia pratica del “respingimento” in mare dei profughi di colore, a difesa del codice di purità della presunta “monoetnia” italiana (Berlusconi), né rivangheremo le accuse lanciate contro i provvedimenti  del cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Contro questa galleria degli orrori hanno parlato l’ONU, il Consiglio d’Europa, vescovi e comunità ecclesiali, Napolitano e quasi tutti i giornalisti e i politici non corrotti dai profitti di regime. I lettori di questa pagina saranno ormai certamente informati di tutto ciò, perché questa volta si è trattato di una macchinazione politica che non poteva restare occultata. Così oggi tutti sanno che l’Italia ha varato un suo “statuto degli stranieri”, per il quale gli stranieri non autorizzati non possono essere salvati in mare, ma al contrario di Giona, devono essere risospinti nel ventre del pesce (ovvero della Libia); non possono migrare in Europa, benché lo “ius migrandi” faccia parte delle “radici cristiane” dell’Europa, essendo stato posto da Francisco De Vitoria a fondamento della “scoperta” dell’America e del diritto degli spagnoli a installarvisi al posto dei nativi; non possono abitare (chi affitta loro una casa compie un reato); non possono partorire in ospedale, pena la denuncia; possono avere un battesimo ma non un atto di nascita; non possono andare a scuola oltre l’età dell’obbligo, e in qualche città non possono andare ai giardini in più di tre persone.

I giuristi, anche sporgendo denuncia contro il governo, hanno riempito pagine e pagine con l’elenco di tutte le norme violate: Carta dell’ONU, Dichiarazione universale dei diritti umani, Costituzione italiana, Convenzioni di Ginevra e Patti internazionali europei e mondiali. I cristiani ci potrebbero mettere di loro l’elencazione di tutte le pagine del Vangelo tradite e dei passi pertinenti delle Costituzioni e Dichiarazioni del Concilio. Si dovrebbero poi aggiungere le critiche alle altre follie legislative del pacchetto sicurezza, dalle ronde parapoliziesche all’aumento a pioggia delle aggravanti per reati di maggiore attrattiva mediatica.

Tutto ciò si può dare per scontato. Ma quello che si deve dire ancora è che la classe che ci governa non ha il diritto di farci essere crudeli. Una maggioranza transitoria che presto potrebbe essere rovesciata, sta cambiando la figura dell’Italia, facendole assumere un volto spietato e crudele, egoista e violento. L’Italia non era così. Era un Paese mite e gentile, tollerante e pacifico; in Palestina cercava di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, nella guerra fredda anticipava la multilateralità della globalizzazione, una volta addirittura invece di respingere i fuggiaschi, respinse gli americani che volevano catturarli; certo, ha fatto anche molti errori, la sua accondiscendenza agli alleati l’ha fatta partecipare a qualche guerra di troppo, ha esportato armi e mafie, e talvolta ci facciamo ridere dietro perché mandiamo in giro un presidente del Consiglio che racconta barzellette. Ma mai era successo che i suoi marinai si lamentassero di eseguire “ordini infami”, che ai perseguitati fosse negato il diritto stesso di chiedere asilo, che naufraghi stremati, donne incinte e bambini fossero raccolti in mare e scaricati come rifiuti sulle coste dirimpetto.

L’Italia non era maledetta, perché non malediva; l’ultima volta l’aveva fatto col fascismo, che aveva invocato: “Dio stramaledica gli inglesi”; ma quello, come ha detto Benedetto XVI del nazismo, era “un regime senza Dio”, razzista e xenofobo.

Nessun governo ha il diritto di ridare all’Italia quel volto. Né potrebbe farlo, se l’antifascismo funzionasse ancora da antidoto. Ma da molto tempo esso è sotto attacco. E adesso capiamo dove portava quel rivalutare “i ragazzi di Salò”; ora capiamo perché si volesse sottoporre a revisione il passato, mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani, mettere a carico della resistenza, come un’onta, “il sangue dei vinti”, e perfino cambiare il nome alla festa della liberazione: quando liberazione è il frutto di una lotta, e non si può celebrare per sé se non se ne riconosce il diritto anche agli altri, mentre libertà è lo stato o il privilegio di chi comunque l’ha ricevuta e ne gode anche da solo, e nella tradizione liberale è sempre stata associata, se non identificata, con la proprietà.

Far cadere la differenza tra fascismo e antifascismo, negare il patrimonio ideale su cui storicamente si è costruita la democrazia repubblicana, è la via attraverso cui una classe dirigente che, per la sua origine, in siffatta Repubblica si sente priva di legittimazione, cerca di darsene una. Ma il prezzo di tale legittimazione verrebbe fatto pagare all’Italia, se essa dovesse riassumere il volto, e anzi la maschera, di una nazione arrogante e incivile, a cui, al vederla, i popoli fischieranno o da cui distoglieranno lo sguardo.

                                                                                            Raniero La Valle  

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Perché una persona di sinistra non può votare Di Pietro alle elezioni europee

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Perché una persona di sinistra non può
votare  Di Pietro alle elezioni europee
     

Vittorio Agnoletto europarlamentare PRC/Sinistra
Europea

articolo uscito su “il Manifesto” del 3 maggio 2009

 

Nelle ultime settimane ho
avuto modo di ascoltare non poche persone di sinistra intenzionate a votare
IdV, e questa stessa intenzione è stata rappresentata più volte sulle pagine di
questo giornale da diversi lettori.

Il 6/7 giugno si voterà
per il Parlamento Europeo e Di Pietro ha annunciato che tutti gli eletti dell’IdV
a Bruxelles faranno parte del gruppo “Liberali e Democratici”, il medesimo
gruppo al quale è stato iscritto lo stesso Di Pietro quand’era
europarlamentare.

Per valutare se sia  compatibile una rivendicata militanza a
sinistra con il voto alle elezioni europee per l’IdV, penso che la cosa
migliore sia analizzare il comportamento che il gruppo liberale ha tenuto verso
le principali direttive nell’ultima legislatura.

Nel settore delle
politiche sociali e lavorative il gruppo Liberale ha votato:

*a favore della
Bolkestein, che costituisce una vera e propria istigazione al dumping sociale e
alla concorrenza al ribasso tra lavoratori dentro l’UE;

*a favore della direttiva
che avrebbe prolungato l’orario di lavoro fino a 65 ore alla settimana e in
alcune occasioni fino a 78, direttiva che per ora, siamo riusciti a bocciare;

*a favore della
risoluzione sul lavoro nero che punisce più le vittime che i carnefici. Ed
infatti prevede per i datori di lavoro, che impiegano attraverso il lavoro nero
immigrati senza permesso di soggiorno, solo sanzioni pecuniarie ed invece
l’immediata espulsione degli stessi migranti (a meno che siano minori o che
riescano a dimostrare di essere vittime della tratta). Un vero e proprio
incentivo al lavoro nero degli immigrati: chi di loro farà più una denuncia ?

I Liberali hanno anche
votato a favore della direttiva della “vergogna” che prevede: la possibilità di
rinchiudere nei cpt/cie i migranti sprovvisti di permesso di soggiorno, ma
senza che abbiano commesso alcun reato, anche per 18 (6 +12) mesi; il rimpatrio
dei migranti in Paesi differenti dai loro: ad es. chi proviene dal Sudan
potrebbe essere rimpatriato in Libia, nei cpt di Gheddaffi in mezzo al deserto;
il rimpatrio dei minori non accompagnati purché abbiano nel loro Paese parenti
anche di grado  lontano….forse non è
allora così difficile capire come mai 10 parlamentari dell’IdV si siano
astenuti sul disegno di legge sulla sicurezza nel Parlamento italiano !

In politica estera, senza
infierire, mi limito a ricordare il voto favorevole alla risoluzione sul
potenziamento del ruolo della NATO nelle politiche di sicurezza dell’UE.

A coloro che obiettano che
tutto dipende da chi, nella lista, verrà eletto, rispondo che è sempre meglio
pensarci prima: può facilmente capitare (e non solo nell’IdV) che si dia la
preferenza a qualcuno che è contro il liberismo e si contribuisca invece ad
eleggere, con il proprio voto, un parlamentare della stessa lista pronto a
sostenere la direttiva sull’orario di lavoro quando il Consiglio, come annunciato,
la ripresenterà.

Inoltre è bene sapere che
a Strasburgo il lavoro del singolo deputato dipende quasi totalmente dal
rapporto con il gruppo parlamentare di appartenenza. Le iniziative individuali
hanno uno spazio quasi nullo.

E’ più che legittimo
compiacersi con chi lancia grandi proclami contro Berlusconi, per altro sempre
utili nel deserto del nostro attuale Parlamento italiano, ma non è sufficiente;
è necessario andare a vedere quali concrete scelte sociali costui pratichi.

E sulla base della mia
esperienza di cinque anni al Parlamento europeo, credo proprio che una persona
di sinistra, e che tale voglia restare, il 6/7 giugno non possa votare l’IdV.

 

 

 

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Genova, notte del 21 luglio 2001.

 
 
Genova, notte del 21 luglio 2001. Mentre i treni portavano via gran parte dei manifestanti, vittime poche ore prima di cariche indiscriminate, decine di agenti operavano una violentissima irruzione nella sede del Genoa social forum ferendo gravemente 63 persone e arrestandone 93 per associazione a delinquere. Accuse infondate che servivano a trovare dei capri espiatori per le violenze di piazza, utili a criminalizzare i movimenti contro il G8. In questo libro la ricostruzione dei fatti attraverso la requisitoria dei Pm pronunciata nel processo di primo grado che si concluderà con l’assoluzione della catena di comando e con lievi condanne per i responsabili di tale “macelleria messicana".
"La lettura di ogni singola pagina sgomenta e alla fine rimane il senso di impotenza delle vittime rimaste senza giustizia. Colpisce ogni singola vicenda, dramma personale in una tragedia collettiva. C’è da augurarsi che ognuna, grazie alla solidarietà e alla “nostra” concezione di intendere il mondo, abbia trovato la forza di superare i gravissimi traumi fisici e psicologici subiti quella notte". [Dalla prefazione di Massimo Carlotto]  
 
Checchino Antonimi, giornalista di Liberazione inviato a Genova nel 2001. Sul movimento No Global ha pubblicato Zona Gialla, Fratelli Frilli Editore, Genova 2002.
Francesco Barilli, mediattivista, coordina il sito www.reti-invisibili.net, collabora con Haidi Giuliani ed è autore di diversi lavori sulle giornate genovesi. 
Dario Rossi, è avvocato di parte civile del Genoa Social Forum. 
Massimo Carlotto, è uno dei più famosi scrittori europei di libri noir in gran parte pubblicati in Italia dalla casa editrice e/o.
www.edizionialegre.it 
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Stare dentro o chiamarsi fuori: perché ho scelto di candidarmi nel PRC, di Rosangela Pesenti

Non sono iscritta a nessun partito da vent’anni e non ho avuto mai nessuna responsabilità amministrativa in nessuna istituzione. Ho vissuto attivamente la politica nel movimento delle donne, nel femminismo, in quel tessuto orizzontale che ha saputo cambiare la società italiana non solo conquistando leggi inclusive dei diritti civili, ma soprattutto nell’agire quotidiano, nelle relazioni più intime, tra donne e uomini, tra generazioni, tra popolazioni, allargando le possibilità di immaginare il futuro, affermando la libertà di esistere per ognuna e ognuno secondo i propri talenti e inclinazioni.
 
Un tessuto che non ha costruito leaders, ma molte autorevolezze che durano nella memoria e vengono ancora trasmesse nonostante l’oscuramento informativo e l’oscurantismo dei poteri costituiti.
 
Sono già stata candidata nel ’94 dall’ancora unitario PDS e l’anno scorso dall’Arcobaleno. Guardo la sinistra agire come i polli di Renzo, di manzoniana memoria, mentre nel mondo spadroneggiano i Bravi e penso che da qualsiasi posizione si possa trovare un’alleanza pulita, tranne che dalla parte di Don Abbondio. Quello che ho visto muoversi sulla cosiddetta scena politica, sempre più scena nel senso della costruzione di fiction mediatica, non mi corrisponde nelle forme, nell’agire, nei progetti, nel modo di rappresentarsi e di rappresentare. 
 
Potrei dire che non ho bisogno della politica, per lavorare, per vivere, per continuare ad essere e fare, pensare e agire. Potrei facilmente chiamarmi fuori.
Perché allora accetto di essere dentro? Perché accetto di mettermi in un ingranaggio che so di non poter dirigere né tanto meno influenzare in questo momento, di “metterci la faccia” in una situazione di frammentazione così profonda e spesso intimamente dolorosa, di malumori e piccinerie così diffusi, in un impasto di paure e cinismo, fedeltà mortificate e calcolo, che rischiano di rendere opaco qualsiasi volto e sospetta qualsiasi proposta?
 
Perché sono una cittadina appena inclusa. Quando sono nata le donne in Italia avevano conquistato il diritto di voto da pochi anni, nella civile Europa da poco più tempo e non in tutti i Paesi, e molte leggi erano ancora espressione del potere patriarcale che vuole le donne subalterne nella divisione del lavoro, assoggettate nella sessualità, limitate nell’accesso politico, cancellate nella trasmissione della cultura, derubate nell’elaborazione del pensiero e complici nella conservazione della loro stessa servitù attraverso un abile dosaggio di concessione di privilegi, ricatti affettivi, manipolazione dell’immaginario, minacce, violenze, assassinio.
 
La libertà di pensare e pensarci che abbiamo conquistato, più generazioni di donne e un pezzetto per volta, viene ancora continuamente aggredita. Veniamo aggredite singolarmente, nei modi feroci o subdoli che mirano a rompere, nell’immaginario, vicinanze e solidarietà, a esporre le differenze individuali censurando sempre le specificità politiche.
 
Nel mondo la maggior parte delle donne non ha diritti politici, libertà civili, opportunità e spesso nemmeno possibilità di sopravvivenza. L’intreccio spaventoso di storie locali, poteri coloniali e monopoli economici chiede la nostra azione politica, non possiamo lavarci la coscienza con le briciole di un volontarismo caritativo che non rappezza nemmeno le toppe.
 
Abbiamo di volta in volta costituito il movimento delle donne intorno a progetti concreti, cercando il terreno di una mediazione che non potesse mai diventare prevaricazione, inventando e allargando quel terreno democratico che non può esistere se non vive in luoghi agibili da tutte e tutti.
 
Misurarsi con la concretezza significa imparare la democrazia nel corpo a corpo delle storie diverse, nella fatica di allargare le opportunità sul terreno istituzionale, confrontando desideri e speranze con la durezza dell’esistente. Mi sento forte di questa esperienza e mi fido della mia storia, per questo ho accettato la proposta venuta dal Forum delle donne di Rifondazione.
 
Conosco il crescente maschilismo, la multiforme vendetta del patriarcato, che nessun uomo riesce ancora a dichiarare nemico dell’umano multiforme esistere e so che queste donne hanno dovuto predisporre una lotta, pacifica e democratica, ma lotta, per proporre e “far passare” il mio nome e quello di altre.
 
Ho imparato, leggendo e rileggendo le parole di Rosa Luxemburg, che ci sono momenti in cui bisogna mettere da parte la complessità delle proprie idee, l’orgoglio della propria limpidezza e scegliere da che parte stare, anche se il luogo in cui decidiamo di stare è inospitale e le persone, prevalentemente gli uomini, farebbero magari volentieri a meno della nostra presenza.
 
Non mi chiamo fuori dalla politica, anche se vedo solo cose che mi sembrano sbagliate o sospette, perché continuo a considerare il diritto di voto, allargato a quante più istituzioni possibili, una strada ineludibile per la democrazia.
 
Non credo si possa ricostituire una sinistra monoidentitaria, su simboli significativi per la memoria di un pezzo del mondo del lavoro oggi così profondamente cambiato: è una storia da cui abbiamo qualcosa da imparare solo se possiamo leggerla dentro il muoversi di altri soggetti fondamentali e primo fra tutti il movimento femminista, solo se possiamo rileggerla negli errori e connivenze del passato, così come nelle grandi conquiste di civiltà in tutta la storia del pensiero socialista e pacifista.
 
Sento la necessità di  mettermi contro il capitalismo, la logica perversa del mercato e del profitto che alimenta povertà e guerre,  perché credo che un altro mondo sia possibile e sono certa che già vive nei semi di pensieri e vite che ci sono sconosciuti e non solo negli straordinari laboratori politici di quell’altro mondo che noi europei abbiamo perseguitato, colonizzato, disprezzato, ma anche qui, in mezzo al nostro devastante sviluppo, tra le pieghe del nostro infelice benessere
 
Penso che la frammentazione dei ceti dirigenti, più o meno colti, più o meno fascinosi, è la rappresentazione della fine di una forma politica e non saranno le logiche della rincorsa ai posti o le parole politiche più o meno azzeccate, volte a catturate il voto smarrito della sinistra, a fermarlo.
 
Non penso che la mia presenza possa modificare processi in atto, incardinati in logiche che mi sono estranee, ma resto convinta che la politica, al fondo, non può mai prescindere dalle piccole scelte di ognuno e per quanto mi riguarda faccio quello che posso.
 
Le donne sembrano talvolta più sprovvedute perché si muovono con poca dimestichezza nei meccanismi istituzionali, sbagliano valutazioni per ingenuità, buona fede, o convinte ad utilizzare le tradizionali strategie di adattamento, mimetizzazione, piccolo cabotaggio che hanno rappresentato possibilità di sopravvivenza e inevitabile complicità nella lunga storia dei generi.
 
Sembrano più disinvolte le donne della destra, ma utilizzano l’esito delle lotte femministe, mai condivise, per ottenere posti conformandosi ai modelli classisti e spesso senza sottrarsi alle tradizionali subalternità.
Non importa, da questo non si può prescindere se è la dimensione del reale, da questo ci si può distinguere se la nostra vita testimonia di noi. Non si tratta di interrogarsi su quanto siano credibili i partiti, ma di pretendere che lo siano i candidati, come lo sono moltissime donne e uomini nella loro vita di tutti i giorni.
Vivo queste elezioni come possibilità etica e gesto responsabile da parte di una donna più che adulta nei confronti delle tante donne incontrate, degli uomini che si sono messi in cammino per un’altra storia, delle giovani generazioni di ragazze e ragazzi che mi sono cresciute accanto; non porto altro che la mia goccia d’acqua perché troppi incendi sono stati appiccati in Europa e dall’Europa e oggi siamo più che mai a rischio di aridità.  
 
10 maggio 2009
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La leonessa bianca

Un bel giallo, scritto con maestria, intrigante. Sullo sfondo delle questioni razziali in Sudafrica, raccontate in maniera romanzata, quasi come un "romanzo storico". Molto utile per capire molte cose dell’oggi. 
 
Henning Mankell
La leonessa bianca
Marsilio editore
traduzione di Giorgio Puleo
La terza inchiesta del commissario Wallander
Nello stesso giorno in cui in Sudafrica un gruppo di fanatici progetta un attentato contro uno degli uomini politici più in vista del paese, Louise Akerblom, titolare di un’agenzia immobiliare, scompare da Ystad senza lasciare traccia.
E’ il commissario Kurt Wallander a guidare le ricerche della donna. Dopo qualche giorno, il suo corpo senza vita viene ritrovato nel pozzo di un casolare isolato della Scania.
C’è un filo che lega l’omicidio al complotto che minaccia il Sudafrica, una pista che porta a un assassino senza scrupoli.
"Questo romanzo di Mankell è di rara qualità. Per la sua autenticità e per la maestria con cui tratta la dimensione politica, Mankell supera autori come Le Carré. Un autore di polizieschi da tempo entrato nell’élite del genere" NEUES DEUTSCHLAND
 
 
 
Henning Mankell è nato in Svezia nel 1948 e ha raggiunto il successo internazionale con i nove episodi della serie del commissario Wallander. Vive tra la Svezia e l’Africa, dove ha ambientato alcuni suoi romanzi, tra cui Comédia infantil e Il figlio del vento. Dal suo impegno per l’Africa è nato anche il libro Io  muoio, ma il ricordo vive. Un’altra battaglia contro l’Aids. Le pubblicazioni più recenti: il giallo Il ritorno del maestro di danza e il romanzo Scarpe italiane.
Pubblicato in Parole | Commenti disabilitati su La leonessa bianca

IL LIBRO DELLA GLORIA

Agosto 1905. Un gruppo di ragazzi sale su una nave ad Auckland, in
Nuova Zelanda, e inizia una lunga traversata alla volta
dell’Inghilterra: prima tappa di una gloriosa tournée che toccherà
paesi lontani e misteriosi. Città splendenti, moderne e caotiche.
Tra di loro ci sono due calzolai, due fabbri, tre agricoltori, un
caporeparto del mattatoio, due minatori, un impiegato statale e uno di
banca, un ex fantino, due corridori professionisti e un maestro
d’ascia. Sono i mitici All Blacks. Ma questi ragazzi ancora non sanno
che il loro destino sarà quello di diventare una leggenda del rugby e
di conquistare il mondo.
Giocano la prima partita nel Devon ed è una sorprendente vittoria. È
solo l’inizio. Da quel momento in poi mietono un successo dopo l’altro.
Il pubblico li adora. Le signore li coccolano. I mariti li invidiano.
Per loro vengono organizzate cene, balli e serate di gala. Sono
ospitati e accolti con ogni onore in molte città della vecchia Europa:
dall’Inghilterra all’Irlanda, alla Scozia, al Galles, alla Francia.
Curiosi e smarriti attraversano il Nuovo Mondo.
Ognuno di loro possiede una buona dose di coraggio, ingenuità, elegante
naturalezza e generosità senza pari. Un irrefrenabile piacere di
giocare insieme e uno spirito di squadra ferreo e indiscutibile. A
dicembre, a soli quattro mesi dalla partenza, sono già i «meravigliosi
All Blacks» che nella classica divisa nera hanno battuto lo Yorkshire
40 a 0 e l’Inghilterra e l’Irlanda con un secco 15 a 0. Eppure questi
ventisette ragazzi belli, forti, timidi e generosi, sembrano non
abituarsi mai ad essere oggetto di così tante attenzioni e il loro
sogno resterà fino alla fine «continuare a orbitare nel nostro piccolo
mondo di calzolai e fonditori».
Di vittoria in vittoria, di successo in successo, con uno stile
misurato e commovente che sta fra l’appunto di viaggio e la poesia,
l’epopea e il racconto quotidiano, seguiamo la travolgente esperienza
della squadra fino al giorno del tanto desiderato ritorno a casa.
Quando gli All Blacks sono per sempre consegnati alla gloria e alla
leggenda.

Ventisette ragazzi timidi e coraggiosi salgono su una nave ad Auckland,
in Nuova Zelanda, e da qui navigano alla volta dell’Inghilterra. Sono i
mitici «Original» All Blacks.

 A loro appartiene un preciso destino: diventare una leggenda del rugby e conquistare il mondo.
Partita dopo partita, vittoria dopo vittoria, la loro gloria li precede e la loro haka trascina le folle. Davanti a un pubblico dapprima diffidente, poi partecipe, infine entusiasta, questi ragazzi in maglietta e calzoncini neri, giocano increduli le proprie vite e segnano le sorti di uno sport che troverà sostenitori fedeli e innamorati in tutto il mondo.
Per la cronaca, nella loro prima tournée, gli All Blacks segnarono ottocentotrenta punti e ne concessero trentanove.

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Come Rifondazione comunista siamo e resteremo contrari al
disegno di legge sulla sicurezza approvato oggi dalla Camera dei deputati
perché aumentera’ il numero dei clandestini in Italia e, soprattutto,
peggiorerà le condizioni in cui lavorano questi clandestini.

In realtà alla Lega serve di avere migliaia di
clandestini che lavorano al nero in aziende che evadono le tasse. Questa è
l’effetto del decreto che produce il governo: più clandestini, lavoro più
sfruttato e schiavistico.

Si tratta di un provvedimento infine che non peggiora
solo le condizioni dei lavoratori clandestini ma che peggiora anche le
condizioni dei lavoratori italiani perche’ più clandestini ci sono che lavorano
al nero e non possono piu’ dire nulla, ricattati dai loro padroni, e più saranno
anche i lavoratori italiani ricattati. In questo senso la Lega e’ un vero
partito di classe che difende gli imprenditori, in particolare quelli del Nord,
contro i lavoratori, che diivide i lavoratori sulla base della discriminante e
discriminazione dell’essere immigrati o non immigrati.

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Italy MPs back migrant crackdown

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Italian MPs have backed a plan to fine illegal immigrants up to 10,000
euros ($13,000), as the government continues to tighten immigration controls.

The lower house overwhelmingly backed the bill, which also proposes jailing
those who rent houses to illegal immigrants for up to three years.

The bill still needs to be approved in the Senate before it can become law.

Italy has just introduced a policy of returning boatloads of migrants to
Libya before they can claim asylum.

The move has attracted criticism, with the UN’s refugee agency and the
Vatican both saying the move was a breach of international law.

Prime Minister Silvio Berlusconi sparked further controversy when he
defended the decision by saying he did not want to see a
"multi-ethnic" Italy.

"The left’s idea is of a multi-ethnic Italy. That’s not our idea, ours
is to welcome only those who meet the conditions for political asylum," he
told a news conference at the weekend.

Public backing

The government says it faces an unmanageable flood of immigrants, many
arriving on outlying islands which do not have the means to cope.

More than 36,000 migrants landed on the shores of Italy last year – an
increase of about 75% on the year before.

The BBC’s Duncan Kennedy, in Rome, says many Italians believe their country
is being left on its own by the European Union to deal with the problem of
immigration.

And many are now ready to support stricter measures to control the flow of
people into their country, our correspondent adds.

Mr Berlusconi’s centre-right coalition ensured the bill’s speedy passage
through lower house by turning it into a vote of confidence in the government.

While 316 MPs backed the bill, 258 voted against. It will now go to the
Senate.

Vigilante groups

Rocco Buttiglione, a centre-right MP, said the law would bring
"slavery" to Italy by creating a class of workers without any rights.

He warned that rather than turning to police when they need to, migrants
would turn to the Mafia or vigilante justice.

Other measures in the government’s security and crime legislation include a
register of homeless people, citizens’ vigilante patrols, and up to three years
in prison for anyone who insults the police.

Critics say the right-wing government is targeting especially immigrants and
Roma (Gypsies).

But Manuela del Lago of the anti-immigrant Northern League party, which
spearheaded the legislation, said Italy was embarking on the right path.

"We don’t understand why we have to keep them all here and in other
countries they don’t take anyone," she said.

http://news.bbc.co.uk/go/pr/fr/-/2/hi/europe/8048571.stm

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