Via Giorgio Almirante, terrorista

di Gennaro Carotenuto,
Domenica 25 Maggio 2008, 13:13

In molti hanno scritto dell’Almirante
antisemita e dell’Almirante massacratore repubblichino e ci vuole un tir di
Maalox (o lo stomaco di Veltroni, "nulla fermerà il dialogo con il PDL") per
mandarlo giù.

Ben pochi invece si sono soffermati sul fatto che Giorgio
Almirante fu amnistiato solo perché ultrasettantenne dal reato di
favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano, nella quale tre
carabinieri furono fatti saltare in aria.

Giorgio Almirante, il grande
statista al quale Gianfranco Fini rende omaggio e Gianni Alemanno vuol dedicare
una strada romana, per la legge italiana è dunque un terrorista complice
dell’assassinio di tre carabinieri. Ecco tutta la storia.

Il 31 maggio
1972, in Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, mentre in televisione
trasmettevano Inter-Ajax, morirono dilaniati in un attentato il brigadiere
Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Bongiovanni
di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Francesco Speziale e il
brigadiere Giuseppe Zazzaro.

Nonostante i morti fossero tre poveri
carabinieri (nella foto), immediatamente una cortina di depistaggi fu elevata
per coprire i responsabili. Come per Piazza Fontana si diede per anni la colpa
ai rossi; la strategia della tensione serviva per quello e funzionava così.
pateano_3Tra i principali depistatori vi fu il generale Dino Mingarelli,
condanna confermata in Cassazione nel 1992 per falso materiale ed ideologico e
per soppressione di prove, e il generale piduista Giovanbattista Palumbo, che
all’epoca era comandante della divisione Pastrengo di Milano e che aveva
competenza su tutto il Norditalia, che inventò la pista rossa di sana pianta.
Per difendere gli assassini di tre carabinieri, due dei maggiori in grado
dell’arma delle vittime, per anni ne fecero di tutti i colori, manomettendo e
facendo sparire le prove, come si legge nelle sentenze e come racconta benissimo
il giudice Felice Casson in un libro intervista che uscirà in futuro.

La
strage avvenne a 15 giorni dall’omicidio Calabresi e tre settimane dopo le
elezioni politiche del 7 maggio nelle quali l’MSI era cresciuto fino all’8.67%,
massimo storico e ad un passo dal PSI. I colpevoli materiali della strage,
condannati all’ergastolo con sentenza definitiva, erano gli iscritti all’MSI
friulano Carlo Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra insieme ad Ivano Boccaccio,
ucciso pochi mesi dopo i fatti in uno strano tentativo di dirottamento aereo
all’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Con Peteano c’entrano tutti, i vertici
dei carabinieri, l’MSI (al quale erano iscritti tutti i terroristi) la P2,
Gladio, i servizi italiani e la CIA nel pieno della strategia della tensione.
Destabilizzare per stabilizzare.

Per trappolare la 500 di Peteano furono
usati materiali di Gladio conservati ad Aurisina e tecniche che venivano
insegnate alla Folgore a Pisa. Risoltosi il problema di Boccaccio, restavano
Cicuttini e Vinciguerra. Abbiamo già detto che la strategia della tensione
serviva a destabilizzare per stabilizzare e proprio l’MSI la stava
capitalizzando, come il voto del 7 maggio aveva appena dimostrato. E quindi i
camerati andavano salvati. E qui interviene il nostro. Dopo la morte di
Boccaccio a Ronchi, Vinciguerra e Cicuttini, segretario dell’MSI a San Giovanni
a Natisone, in provincia di Udine, che faceva i comizi con Giorgio Almirante,
nonostante non fossero ancora stati inquisiti per Peteano (le piste fasulle
staranno in piedi per anni), si erano comunque resi latitanti. Latitanza dorata
nella Spagna di Francisco Franco, dove il loro punto di riferimento era Stefano
delle Chiaie e dove con questo si dedicavano al traffico d’armi. Cicuttini sposò
perfino la figlia di un generale. C’era un solo punto debole del piano: la voce
di Cicuttini registrata sia nei comizi dell’MSI sia nella telefonata con la
quale Cicuttini attirò i carabinieri nella trappola a Peteano.

E fu
proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello rispettabile,
quello con il senso dello Stato, a proteggere l’autore della strage di Peteano
fino a mandargli 34.650 dollari statunitensi in Spagna proprio per operarsi alle
corde vocali. Ciò è processualmente provato. Almirante consegnò personalmente i
soldi all’avvocato goriziano Eno Pascoli che li fece avere a Cicuttini a Madrid,
via Svizzera. Almirante e Pascoli, incriminati per favoreggiamento dell’autore
della strage di Peteano furono rinviati a giudizio insieme. Ma mentre Pascoli
sarà condannato, la condanna di Almirante seguirà un corso diverso. Il capo
dell’MSI godeva infatti dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò
perfino per evitare di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie
nelle quali non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne
un’amnistia praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto
ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l’uomo d’ordine, dovette chiedere per sé
l’amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò (mentre
il suo complice fu condannato) per il reato di favoreggiamento aggravato degli
autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un attentato terroristico nel
quale vennero uccisi tre carabinieri. Non si parla di violenza politica o di
strada, di giovani di destra e sinistra che si fronteggiavano e a volte si
ammazzavano; stiamo parlando del peggiore stragismo. Dedichiamogli una strada,
lo merita: Via Giorgio Almirante, terrorista.

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