Der Baader Meinhof Komplex

Der Baader Meinhof Komplex,3° Festival Film di Roma

Questo lavoro di Edel propone in maniera assai documentata e ritmo serrato le intense e drammatiche vite di alcuni esponenti della RAF: Andrea Baader, Gudrun Ensslin, Jean-Carl Raspe, Irmgard Möller, tutti detenuti nel carcere di Stammheim. sulla loro morte, il regista lascia aperte entrambe le possibilità: il suicidio della sconfitta o l’omicidio di Stato
Regia: Uli Edel
Soggetto e sceneggiatura: Bernd Eichinger
Montaggio: Alexander Berner
Interpreti principali: Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Johanna Wokalek, Bruno Ganz, Jan Josef Liefers, Alexandra Maria Lara, Heino Ferch, Nadja Uhl, Hannah Herzsprung, Niels Bruno Schmidt, Stipe Erceg, Daniel Lommatzsch, Vinzenz Kiefer, Volker Bruch, Bernd Stegemann
Musica originale: Peter Hinderthür, Florian Tessloff
Produzione: Constantin Film Produktion
Origine: Ger, 2007
Durata: 149′

Cosa accadde la notte fra il 17 e 18 ottobre 1977 nel carcere di Stammheim ai detenuti della Rote Armee Faktion rimarrà probabilmente un mistero e questo lavoro di Edel che propone in maniera assai documentata e ritmo serrato le intense e drammatiche vite di Andrea Baader, Gudrun Ensslin, Jean-Carl Raspe, Irmgard Möller lascia aperte entrambe le possibilità: il suicidio della sconfitta o l’omicidio di Stato. Del resto su quest’ultima ipotesi s’erano aperti ampi sospetti quando un anno e mezzo prima l’altra figura di spicco del gruppo, Ulriche Meinhof, era stata trovata morta nella cella della stessa prigione di massima sicurezza. Si parlò di suicidio ma i suoi compagni rigetteranno la tesi accusando la polizia di assassinio. Tutti stavano protestando, alcuni con la forma estrema dello sciopero della fame, per le condizioni detentive mirate alla disarticolazione della personalità. La Meinhof rimase inizialmente scioccata da quell’essere sepolta viva, la narrazione cinematografica paventa anche dissidi sopraggiunti durante la reclusione con la Ensslin e Baader.
Una ricostruzione valida per l’efficace uso della macchina a mano e d’una pellicola che esalta la luce naturale, meticolosamente legata alla cronaca seguendo vie diverse dall’opera introspettiva ed esistenziale della Von Trotta col suo "Die bleierne zeit" (Leone d’oro a Venezia nel 1981). Ricostruzione anche difficile quando s’inoltra nell’incerto come i rapporti politici e umani fra le due menti del gruppo – Meinhof e Ensslin – mentre Baader, spavaldo uomo d’azione, viene mostrato in atteggiamenti guasconi impropri per un combattente clandestino. Ma loro e i compagni erano ragazzi dell’era della contestazione, dell’antimperialismo che s’accompagnava all’antiautoritarismo familiare, alla rottura col passato, contro l’ipocrisia della società borghese che gl’indicava solo la via consumistica. Erano figli della liberazione sessuale che non disdegnava un joint e il sound arrabbiato della Joplin. Non erano certamente figli dei fiori, pragmatici individuavano nella lotta sociale lo scopo della vita presente, solo che questa assunse toni sempre più violenti, d’una violenza d’avanguardia.
Ensslin e Baader nascevano militanti antimperialisti, coinvolti a Berlino nelle contestazioni alle visite dello scià e ai presidi americani della città ancora pesantemente militarizzata, mentre le bombe dei B52 seminavano morte sulla popolazione vietnamita. Nel 1967 Meinhof era invece un’impegnata giornalista di sinistra che per lavoro frequentava gli ambienti giovanili. Dopo il grave ferimento del leader del movimento Rudi Dutschke a opera d’un anticomunista e l’uccisione dello studente Ohnesorg da parte della polizia Ulriche, sebbene madre, aumentò la presenza in quel mondo fino a entrare in sintonia politica con la Ensslin. Baader a seguito di quegli episodi dava un’accelerazione in senso militare alla protesta, con la fidanzata Gudrun e altri iniziò a compiere attentati dimostrativi per i quali venne arrestato e processato. La Meinhof, ancora ufficialmente giornalista, contribuì alla sua evasione scegliendo essa stessa la clandestinità.
L’escalation fu rapidissima: rapine per autofinanziarsi e azioni lampo alla maniera dei Tupamaros fino a giungere ai primi omicidi delle forze dell’ordine colte assolutamente impreparate. Ne seguiva un enorme smacco politico per il governo socialdemocratico di Brandt che investì il capo della polizia Horst Herold del delicato e complesso compito di trovare soluzioni.
Quest’ultimo faceva notare ai sostenitori dei soli metodi draconiani di quanta simpatia godessero simili azioni non solo fra i giovani. C’era una parte della popolazione scontenta che s’immedesimava offrendo alla fraktion una solidarietà generalizzata. Quando tutti capi storici del gruppo nel 1972 vennero arrestati con efficaci azioni repressive, una nuova generazione di guerriglieri urbani prese ancora in mano le armi. Percorrevano una via votata alla sola tattica del colpire e fuggire, reiterando l’angoscia della clandestinità, il timore d’essere catturati o uccisi. Una spirale asfissiante. Eppure lo fecero in tanti perché come alla Meinhof qualsiasi altro percorso sembrava inutile. Brigitte Mohnhaupt, leader della seconda leva Raf, non aveva partecipato ai primi addestramenti militari nei campi fedayn in Giordania – coi paradossali risvolti presentati nella pellicola se non veri comunque plausibili – ma prese in mano le redini dei nuovi nuclei organizzando, nel settembre 1977, il sequestro del presidente degli industriali tedeschi e membro della Cdu, Martin Schleyer.
Intanto nella collaborazione tattica con componenti dell’Olp venne concordato il dirottamento d’un aereo della Lufthansa compiuto da un commando palestinese del Fplp che, di scalo in scalo, arrivò a Mogadiscio. Il governo tedesco non accettò la proposta di scambiare i capi della Raf incarcerati con Schleyer e i passeggeri dell’aereo e fece intervenire in Somalia un reparto di "teste di cuoio" che liberò gli ostaggi. Quella stessa notte i detenuti di Stammheim morirono. Come non s’è mai saputo. Il giorno seguente il corpo di Schleyer fu trovato in una boscaglia. Edel nella pellicola fa dire alla Mohnhaupt davanti a un affranto gruppo di fuoco che mitizza i compagni "erano persone che volevano scegliere il proprio destino e lo hanno fatto fino alle estreme conseguenze".
Per la cronaca, azioni firmate Raf proseguirono, pur diradandosi, fino al 1993. Nel 1998, con una lettera gli epigoni annunciarono che quell’esperienza si era conclusa.

Enrico Campofreda, 27 ottobre 2008, 11:10(tratto da http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=9596)

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